Fine di un amore / inizio di una psicoterapia : l’inizio di un legame appagante e maturo?
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Ho avuto di recente la possibilità, chiacchierando con un conoscente, di rendermi conto di quanto le separazioni e gli abbandoni possano essere stimolo primario ad intraprendere una psicoterapia. La domanda interessante che mi ha spinto a riflettere, e ad organizzare il pensiero in modo più concreto, è stata pressapoco questa :
“Ormai tutti quelli che si lasciano vanno in terapia. Ma una volta come si faceva? Generazioni di uomini e donne sono sopravvissuti alle separazioni anche senza psicologi. Le persone sono così tanto fragili oggi?”
La risposta a questo interrogativo potrebbe essere di due tipi :
- Da una parte si potrebbe abbracciare una prospettiva sociologica, che andrebbe a considerare tutti i mutamenti sociali che hanno portato all’infragilimento della solidità dei legami sentimentali e coniugali e hanno reso le persone meno propense alla permanenza e più favorevoli alla divisione
- Dall’altra invece si potrebbe considerare la questione con una prospettiva legata al mondo interno, al modo di rappresentare sé stessi e gli altri, alla propria personalità e a ciò che accade quando ci si unisce e ci si separa
E dal momento che trovo molto più interessante l’esplorazione dei vissuti e del proprio mondo interno rispetto ad una disamina sociologica (anche perché sociologo non sono, anche se potrei fare del mio meglio), tenterò di rispondere alla domanda nel modo più semplice possibile.
Risulta comunque imprescindibile considerare l’ambiente e la società che circonda la persona, poiché è innegabile che eserciti una influenza molto forte sul vissuto in rapporto agli eventi e sul mondo interno. Introduciamo subito alcuni aspetti salienti (legati alle relazioni e al modo di rapportarsi con gli altri) che sono “nuovi” rispetto ad una o due generazioni precedenti:
- Gli attuali giovani adulti sono figli di coppie che hanno avuto la possibilità di separarsi, divorziare, litigare pubblicamente e privatamente, separarsi in casa “per il bene dei figli”, tradirsi alla luce del sole e avere figli al di fuori del matrimonio, perlopiù senza sensi di colpa indotti dalla società. L’equazione “stare insieme = successo” versus “dividersi = insuccesso” è stata messa da parte senza apparenti effetti infausti.
- È più frequente che ambo i partners siano autosufficienti dal punto di vista economico, rendendo l’unione a tutti i costi (per motivi di sopravvivenza) non indispensabile.
- È più facile incontrare e conoscere nuove persone attraverso i social network o le applicazioni designate allo scopo, spesso valutando soltanto da una foto o scorrendo un elenco di possibili candidati, rendendo agevole l’eventuale sostituzione del partner attuale.
- Esiste una costante esposizione mediatica a modelli narcisisticizzanti, che vogliono porre la persona al centro di un mondo (immaginario) in cui esercita un potere onnipotente (di fantasia) e ha illimitate risorse (esterne ed interne) per accedere a qualunque cosa desideri.
- In conseguenza del punto precedente, le relazioni sentimentali conservano una matrice implicita di aspettativa della soddisfazione dei propri bisogni e di riflesso costante dell’immagine che una persona vuole avere di sé (piuttosto che essere incentrate sullo scambio e sulla genuinità).
Sono sicuro che si potrebbero trovare molti altri aspetti utili a rispondere alla domanda, ma già questi possono essere più che sufficienti per illuminarci. Ci troviamo quindi in una società che esercita le seguenti influenze sulla persona, e più nello specifico sulle nuove generazioni :
GENITORI DIVORZIATI/DIVORZIANTI/DIVORZIABILI SENZA SENSO DI COLPA
+
INDIPENDENZA ECONOMICA
+
POSSIBILITA’ DI SOSTITUIRE IL PARTNER CON UNO PIÙ GIOVANE O BELLO ATTRAVERSO UNA APP
+
MASS MEDIA CHE COMUNICANO L’IDEA DI ESSERE UNICI ONNIPOTENTI ED IRRIPETIBILI ED AVERE SOLO DIRITTI
+
QUALITÀ NARCISISTICIZZATA DELLE RELAZIONI : “TU DEVI SODDISFARE I MIEI BISOGNI E RIMANDARMI L’IMMAGINE GIUSTA DI ME STESSO”
E all’interno di questo scenario, una persona cresce e si forma in modo diverso rispetto ad una di qualche decennio più matura. Gli esiti di questa crescita, in rapporto alla qualità delle relazioni significative, saranno migliori o peggiori rispetto alle generazioni precedenti? Non è possibile un confronto. Per cercare una spiegazione nell’oggi dobbiamo considerare la società contemporanea, evitando confronti forzosi con le generazioni precedenti. Va da sé che lo psicologo che si approccia ai problemi relazionali oggi deve anche avere strumenti interpretativi che siano validi per l’oggi, e non per il 1926. L’amore ai tempi di Tinder non è paragonabile con quello dei tempi del colera, sebbene l’essere umano rimanga per sua natura votato alla ricerca del contatto, dello scambio, della vicinanza e della mutualità. Ciò che cambia sono le forme, le rappresentazioni, i vissuti riguardo al soddisfacimento di questi desideri.
Cosa spinge quindi una persona a ricercare la consulenza di uno psicologo od avviare una psicoterapia alla fine di una relazione sentimentale?
È evidente che ognuno possa avere motivazioni personali che non possano essere previste o supposte, ma si può affermare con una certa fiducia che ogni relazione sentimentale di una certa durata (per intenderci, almeno un anno o più) porta all’emersione di parti di sé di cui a volte non si ha consapevolezza, e di meccanismi inconsci derivanti dalle prime esperienze di accudimento che possono determinare la qualità e l’esito del legame.
Una volta concluso il periodo dell’attrazione iniziale, i due membri di una coppia si vanno a confrontare con ciò che rimane una volta finita la fase di idealizzazione (ossia di attribuzione di qualità esclusivamente positive ed esaltanti). Immaginiamo la fine dell’idealizzazione come il cambio di una stagione : se ci siamo infatuati della primavera, del suo vento tiepido e della sua erba verdissima, potrebbe essere difficile rimanere positivi nei confronti dell’estate, che magari potrebbe portare un caldo insopportabile e seccare la verde erbetta primaverile. Nel complesso, comunque, il ciclo delle stagioni (amorose) dovrebbe compiersi imparando ad apprezzare tutti i mesi, siano piovosi o nevosi così come verdi e floridi. Quando il passaggio non è possibile, si rimane ancorati all’idea che l’infatuazione amorosa (emozionante, idealizzante, simile a una droga..) sia l’unica forma di amore desiderabile, non riuscendo a passare ad un amore più maturo, che contempli anche la condivisione della notte e del buio.
Le generazioni attuali non hanno potuto (generalmente) apprezzare il valore della permanenza nel tempo e dell’impegno coerente verso uno scopo , imparando a tollerare la inevitabile frustrazione. Questo si può supporre che derivi da stili genitoriali sempre più votati al disimpegno e alla permissività, non tanto per un reale apprezzamento della libertà dei figli quanto piuttosto per opposizione ai propri genitori, colpevoli di essere stati troppo censori e normativi. Ne risulta che l’esposizione ad un evento frustrante come una separazione o un problema di coppia sia oggi molto più rilevante di un tempo, anche considerato il fatto che non esistono risorse personali o modelli a cui appoggiarsi che non siano quelli del “buttare via tutto” o del “sostituisci il partner problematico con uno nuovo”. Genitori che non sono riusciti a comunicare ai figli quanto siano intrinsecamente amabili anche se problematici, comunicano un disagio ingestibile nei confronti di quegli aspetti della vita che si possono risolvere solo con l’attesa, la mediazione, il dialogo.
Come accennavo in precedenza, i modelli massmediatici e la cultura di riferimento contemporanei sono propensi alla narcisisticizzazione della persona, ossia alla comunicazione (aperta o implicita) del messaggio che si è al centro di un mondo che esiste solo in riferimento ai propri bisogni, sul quale si esercita una influenza smisurata e regolato in massima parte da dinamiche esibizionistiche e compensative. È bene fare un distinguo però : esistono tratti narcisistici in ognuno di noi, e sono parti legate al nostro valore personale e alla soddisfazione nei confronti di noi stessi. Esiste poi un disturbo della personalità (il disturbo narcisistico), che risulta essere una coagulazione patologica di quelli che sono normali tratti e tendenze narcisistiche. Qua non ci occupiamo di disturbi o tratti della personalità, ma di influenze sociali che possono innestarsi su questi tratti, e che condizionano anche il modo di amare e rapportarsi agli altri, con effetti infausti che vedono la persona impreparata a gestire sia la nascita di un legame che la sua fine.
Sarebbe troppo ambizioso riuscire a fare una disamina di tutti i fattori che hanno portato la società e la cultura contemporanea a preferire Narciso rispetto ad Edipo (che rappresenta la scelta, il divieto, la maturazione). Ci può risultare immediato capire, comunque, che il mondo della pubblicità e del commercio abbia influito molto su questo viraggio, rendendo fittiziamente onnipotente un soggetto nel quale far nascere un bisogno inesistente al quale dare risposta con un prodotto a pagamento. E chi potrebbe resistere, insicuro sul proprio aspetto fisico, sapendo che basta comprare un profumo per esercitare sugli altri lo stesso effetto seduttivo di un modello brasiliano perennemente raffigurato sotto una cascata nel bosco?
La persona oggi non può quindi appoggiarsi all’esperienza familiare, poiché ciò che è stato interiorizzato non consola e non fornisce strumenti per affrontare la crisi sentimentale. Tutto intorno viene veicolato l’incessante messaggio che hai il diritto ad essere felice, e che il temporaneo disagio deve essere eliminato con la rapida eliminazione del fattore di disturbo. Basta scorrere verso sinistra la pagina dello smartphone ed ecco che arriva un altro partner pronto a incastrarsi con i nostri ingranaggi. La dimensione del dolore, della fine, della responsabilità personale nell’insuccesso viene completamente obliterata per poter portare avanti uno stile di vita antidepressivo, in cui la distrazione è compulsiva e serve per tenere a bada tutto ciò che non ci è stato dato modo di imparare a gestire, e in ultima analisi ad accettare facendo tesoro delle esperienze.
Prima ho parlato di amore maturo e di idealizzazione. L’idealizzazione, non a caso, è il meccanismo di difesa tipico del disturbo narcisistico della personalità. Traslando questo meccanismo dalla persona alla società, ne risulta che l’amore viene percepito solo come funzionale al rispecchiamento di parti di sé esaltate : tu mi fai sentire come io voglio sentirmi, ed è proprio stando con una persona (____ inserire l’aggettivo preferito) come te che anche io divento (____ ripetere l’aggettivo precedente).
La ragazza che ha sempre desiderato l’uomo barbuto con la moto giapponese finalmente si sente realizzata e onnipotente. A sua volta, l’uomo barbuto e moto-dotato si sente a sua volta onnipotente perché ha sempre desiderato una bionda di bassa statura ma di seno abbondante da mostrare agli amici della palestra. La stessa cosa avviene nelle coppie composte da persone dello stesso sesso.
All’idealizzazione però segue l’inevitabile svalutazione, che ne è il suo contraltare. Tutto ciò che prima sembrava idilliaco e ci faceva sentire in cima al mondo adesso è triviale, inutile, inconsistente, negativo e frustrante. Non esistendo una cornice che tenga insieme il positivo (idealizzato) e il negativo (svalutato), e non avendo nessun modello che possa suggerire come poter passare da una considerazione polarizzata dell’amore ad una che comprenda anche i difetti e i malumori assieme alle gioie e alle soddisfazioni, emerge il malessere, che non deve assolutamente essere percepito ma anzi coperto con il succitato stile di vita antidepressivo. Ci si ritrova quindi a non tollerare il dolore ma a fuggire da esso ; purtroppo però un legame che aveva risvegliato parti sopite di sé, specialmente quelle legate al concetto del proprio valore personale e ai timori dell’abbandono, non è tumulabile così facilmente. Nessun antidepressivo può essere realmente efficace nel lenire il senso di abbandono e isolamento, ed infatti, una volta interrotto per un momento l’incessante festeggiamento maniacale che segue alla fine di un rapporto sentimentale contemporaneo, il problema riemerge in tutta la sua virulenza. Questo è generalmente ciò che porta le persone a richiedere la consulenza di uno psicologo o ad avviare una psicoterapia.
La risposta alla domanda iniziale è quindi questa, a mio parere. Esiste una difficoltà a tollerare la vicinanza e la lontananza, e anche una incapacità a riflettere sul senso di ciò che accade. Prendendosi e lasciandosi si può sperimentare la grande gioia e l’intenso dolore, ma nessuna gioia e nessun dolore sono davvero vissuti se non abbiamo gli strumenti per comprendere noi stessi. Molte di queste difficoltà relazionali vengono a crearsi su parti fragili del Sé, o dipendono da legami primari poco soddisfacenti, o ancora sono frutto di una mancata maturazione sentimentale. Lo studio dello psicologo è il luogo più appropriato in cui trovarsi nei momenti in cui una relazione significativa diventa fonte di disturbo e dolore. Solo in questo modo si può interrompere la faticosa fuga dal dolore, acquisire consapevolezza di sé, accettare le parti meno scintillanti di noi stessi e lentamente far crescere la nostra capacità di amare ed essere amati.