Domande e risposte

(Alcune) domande frequenti e alcune risposte

 

Qual è la differenza tra psicoterapia psicoanalitica e psicoanalisi?

La psicoanalisi si svolge sempre attraverso l’uso del lettino, con una frequenza di tre/quattro incontri alla settimana. Nella psicoterapia psicoanalitica, il terapeuta e il paziente possono sedere vis-à-vis e la frequenza è di due incontri alla settimana. La psicoanalisi è una modalità di intervento molto intensiva, in grado di fornire effetti terapeutici più radicali e di maggiore durata. Richiede generalmente molto più tempo. La psicoterapia psicoanalitica, che è la mia modalità di lavoro principale (insieme ad interventi di supporto con frequenza monosettimanale e diagnosi) consente di ottenere risultati comparabili con una frequenza di incontri minore, ed è al momento attuale più adatta alle esigenze di molte persone, in termini di tempo e di investimento, oltre che applicabile ad una vasta gamma di difficoltà psicologiche.

E che differenza c’è tra uno psicologo e un counselor/maestro di vita/life coach/…?

La differenza più marcata che esiste tra la pratica del counseling (che trova le sue radici storiche in Carl Rogers e in Rollo May, entrambi psicologi con interessi psicanalitici) e l’intervento psicologico è determinata dal fatto che i counselors non sono organizzati attraverso ordini professionali che tutelino sia la qualità della formazione che la clientela a cui si rivolgono. Inoltre molti concetti tipici del counseling sono in realtà prettamente psicologici e talora psicoterapeutici, e si vanno a inserire nella sottile area compresa tra intervento supportivo e forme più imponenti e strutturate di terapia della personalità. Le altre figure ironicamente citate servono per portare l’attenzione verso soggetti che attraverso acquisizioni personali e spesse volte variegate (discipline orientali, teorie pseudoscientifiche,approcci mistici/esistenzialistici) spesso si propongono per soddisfare obiettivi propri di una psicoterapia ma con modalità, tempi, costi e garanzie di esito decisamente imprevedibili.

I disturbi mentali hanno tutti una base organica, per cui a cosa potrebbe servirmi un intervento psicoterapeutico?

La questione inerente alla base organica del disturbo mentale è tuttora dibattuta e certamente non si può, ad oggi, considerare l’aspetto biologico come unica origine del disagio manifesto. Per quanto esistano evidenze che suggeriscano, ad esempio, una familiarità per quanto riguarda alcuni disturbi (disturbo bipolare, alcolismo…) ne esistono altrettante (e ben più recenti) che evidenziano come gli interventi psicoterapeutici vadano ad influenzare l’organizzazione cerebrale che, assieme all’attività neurotrasmettitoriale disequilibrata, si suppone sia alla base di ogni manifestazione psicopatologica (Karlsson,2011). Perfino la diffusa teoria del deficit di neurotrasmettitori (in particolare serotonina) come causa dei disturbi dell’umore (in senso depressivo) risulta essere ipotetica, dal momento che gli stessi miglioramenti ottenuti con farmaci antidepressivi si ottengono con una psicoterapia (Shelder, 2010).

Sposare una prospettiva unicamente organicista significa dimenticare quanto l’ambiente e le sue influenze (ivi comprese quelle di un intervento psicoterapeutico) contribuiscano allo stato di benessere o malessere di una persona, condanna ad un determinismo in cui ci si trova ineluttabilmente legati alla propria diagnosi e non consente la progettazione e l’implementazione di strategie che permettano di prevenire o modificare il decorso di una eventuale patologia psichica al di fuori della mera terapia farmacologica.

(Karlsson, Hasse ; “How psychotherapy changes the brain”, Psychiatric Times,vol 28 n°8, UBM Medica) (Shelder, Jonathan K. ; “The Efficacy of Psychodynamic Psychotherapy”, American Psychologist, vol 65 n°2)

Perchè le terapie psicoanalitiche sono così lunghe?

Anzitutto è necessario considerare che oggigiorno è molto raro effettuare terapie psicoanalitiche ortodosse che prevedono l’uso del lettino e quattro/cinque sedute settimanali, per il semplice fatto che la società che faceva da scenario a quel tipo di terapia è mutato ed oggi non c’è né il tempo materiale né sono presenti le risorse per portare avanti terapie così impegnative. In secondo luogo, è opportuno chiedersi cosa si intenda per “lungo” e specialmente “in rapporto a cosa?”. Se il termine di paragone è “da quando si è manifestato il disagio”, allora non risulteranno poi così lunghe, dal momento che non è facile mutare e incidere su quei meccanismi che hanno portato alla qualità di vita attuale, e interventi troppo repentini non consentirebbero di raggiungere gli strati più profondi e determinanti. Se invece il termine di paragone è “in rapporto ad altre psicoterapie”, si tratta di una questione di punti di vista e di aspettative : l’eradicazione rapida di un sintomo può essere ottenuta praticamente attraverso ogni paradigma (psicoanalitico, cognitivo-comportamentale, breve strategico…) poiché la relazione terapeutica tra paziente e curante è l’agente primario di cambiamento, indipendente quindi dalle prospettive e dalle teorie. La differenza sta nell’attribuzione di significato al sintomo e l’etichetta ad esso attribuito, che nel caso della psicoanalisi non risulta connotato da valori (funzionale/disfunzionale o adattivo/disadattivo) ma viene letto come sensato campanello d’allarme di un disagio che non potendosi manifestare coscientemente, si fa sentire in modo repentino e apparentemente inspiegabile. La durata di una terapia psicoanalitica comunque non è mai inferiore ad un anno e prevede due sedute a settimana, con l’eventuale uso del lettino. Sono certamente possibili, a seconda del caso, interventi psicanaliticamente orientati (ossia solidamente basati sulle stesse fondazioni teoriche) ma di più breve durata e con obiettivi più focali e circostanziati, definiti come interventi di supporto.

La psicoterapia psicanalitica è costosa?

Come accennato sopra, chiediamoci “in rapporto a cosa?”. La psicoterapia psicanalitica è uno strumento di grande efficacia e potenzialità d’uso, e una buona relazione terapeutica tra paziente e curante permette di ottenere notevoli risultati che si riverberano, più o meno rapidamente, nella vita quotidiana. Se si considera pertanto il costo totale di un intervento, non risulta essere più cara di altre tipologie terapeutiche (ivi comprese quelle di consulenza psichiatrica e/o ricovero). Se invece si guarda in una prospettiva a medio ed ampio raggio, il costo viene abbondantemente ammortizzato dal miglioramento della qualità di vita che si può raggiungere al termine di una terapia, con indiretti risultati (non direttamente quantificabili) negli ambiti professionali, scolastici, relazionali e più generalmente coerenti con il proprio autentico progetto di vita. Per concludere, emergono sia aneddoticamente che in studi metodologicamente solidi, le potenzialità della psicoterapia di prevenire scompensi ed evitare istituzionalizzazioni in caso di patologie gravi e molto gravi, con diretti benefici a livello di costo per la collettività.

Senza farmaci non si può guarire. E’ vero?

Senza alcuni farmaci, effettivamente, non è possibile guarire. Basti pensare agli antibiotici, agli antivirali, agli analgesici e a tutti quelli utili a tenere sotto controllo condizioni che potrebbero aggravarsi se non coadiuvate da un supporto esterno che muti le condizioni interne. Per quanto riguarda gli psicofarmaci credo personalmente che sia necessario un discorso a parte. Al di là dell’utile supporto da essi fornito nei casi di acutizzazioni di gravi disturbi (psicosi, gravi depressioni, contenimento di episodi maniacali nel bipolare, agitazione incoercibile…) o necessità di rapidissima risposta (ansiolisi in caso di paura di volare, ad esempio), non hanno la capacità di “curare”, se per “cura” si intende quell’insieme di mezzi che permette la definitiva eliminazione di una patologia . Questo aspetto emerge immediatamente non appena uno psicofarmaco viene ridotto e progressivamente sospeso : i sintomi originari riemergono esattamente com’erano emersi prima dell’assunzione (ovvero la psicosi ritorna florida, la depressione ritorna catastrofica, la mania riporta l’individuo in cima al mondo e l’ansia si fa sentire di nuovo). Gli psicofarmaci pertanto, a mio avviso, risultano potenzialmente utili per la gestione dei sintomi più debilitanti, ma non costituiscono una cura né possono essere considerati unico presidio attraverso cui intervenire, sia per l’enorme costo a carico dell’utenza e della collettività, sia per gli effetti collaterali sulla salute del paziente, sia per il rischio (che è già certezza) di collusione tra chi eroga la cura e chi la “subisce” passivamente, in cui qualcuno decide cosa sia opportuno influenzare nell’altro, che non ha diritto di determinare la sua volontà né di “contrattare” i termini dell’intervento. Penso pertanto che l’integrazione tra psicoterapia (anche non strettamente psicanalitica), interventi educativi e riabilitativi e somministrazione di psicofarmaci alla minima dose utile per produrre effetti terapeutici e in concordanza con le volontà del paziente, sia la strategia combinata più utile per migliorare le condizioni di chi soffre e richiede aiuto.

In quali casi può essere utile una psicoterapia psicanalitica? E quali invece sono meno trattabili?

In linea di massima, i disturbi mentali che presentano una base organica sia ereditaria che acquisita (ad esempio derivanti da danni focali in specifiche aree del cervello) e le condizioni gravi non farmacologicamente compensate (es. schizofrenia, specialmente con maggioranza di sintomi positivi ossia allucinazioni, deliri, disturbi del linguaggio e della comprensione) non si prestano ad un intervento psicoterapeutico almeno fino al raggiungimento di una condizione stabile. Sono altresì primario oggetto di cura i disturbi di ansia, dell’umore, della personalità, della condotta alimentare, del sonno e della sfera sessuale (anche in questo caso se non derivanti da cause organiche), le fobie e molte condizioni a configurazione complessa non facilmente enumerabili (es. depressioni conseguenti alla diagnosi di un disturbo fisico apparentemente cronico ma di origine psicogena..)

Qual è il ruolo dell’ipnosi nella psicoterapia psicanalitica?

L’ipnosi è stata una tecnica utilizzata da Jean-Martin Charcot, docente di neurologia presso l’Ospedale Salpêtrière e mentore di Sigmund Freud ed Alfred Binet, tra gli altri. Il ruolo della suggestione ipnotica, inizialmente, aveva la funzione sperimentale di alleviare il disagio delle donne isteriche , ossia affette da una transitoria menomazione delle capacità sensoriali o motorie non ascrivibile a danni neurologici, secondo l’ipotesi che prevedeva una vulnerabilità nervosa ereditaria e un evento traumatico che abbia potuto produrre la manifestazione eclatante. Freud utilizzò l’ipnosi come strumento attraverso cui accedere direttamente all’origine del trauma e ,consentendone la rievocazione in un contesto protetto (come quello dello studio), agevolare la remissione dei sintomi (isterici). Successivamente privilegiò lo studio dell’inconscio e le libere associazioni come cardine della pratica analitica , e ad oggi, fatti salvi casi specifici di formazione individuale, l’ipnosi non viene utilizzata nelle psicoterapie moderne.

Qual è il vantaggio del lettino piuttosto che della posizione vis-à-vis?

Secondo la tradizione, Freud utilizzava una chaise longue vittoriana che gli fu regalata da un paziente trattato molti anni prima con esito favorevole. Sedeva in una poltrona orientata di novanta gradi rispetto alla testa del paziente, di fatto scomparendone dal campo visivo ma rimanendo vicino e presente. La spiegazione più semplice che a più riprese diede fu che tale stratagemma permettesse al paziente di associare idee e pensieri più liberamente (in quanto lontano dallo sguardo potenzialmente giudicante del terapeuta) e risultare sufficientemente comodo, e a lui di evitare di essere osservato per molte ore di pratica clinica.  Attualmente l’utilizzo del lettino è diffuso e costituisce un elemento pressoché imprescindibile di ogni terapia psicoanalitica. I vantaggi ulteriori legati al suo uso riguardano la possibilità del terapeuta di prendere appunti e note brevi durante le narrazioni del paziente, e per entrambi, usando definizioni più recenti, di non impegnare la totalità delle risorse cognitive nel processamento ed interpretazione degli stimoli visivi.

Che cosa si intende per setting?

Nel linguaggio specialistico, il setting può essere definito come l’insieme delle regole e dei contesti che permettono di creare le condizioni migliori di intervento terapeutico ; ci si riferisce pertanto alla frequenza degli incontri (e relative questioni su cancellazione o modifiche), all’atteggiamento appropriato da tenere durante le sedute e agli aspetti legati al pagamento dell’onorario. Il setting presenta quindi una facciata tangibile costituita dallo studio dell’analista, dagli arredi (incluso il noto lettino), dall’analista stesso..ecc ed una facciata intangibile ma altrettanto (se non maggiormente) importante, inerente alla regolarità degli incontri, alla libertà di decidere senza influenze i contenuti della seduta, al clima di non giudizio e non intrusione, e molti altri qua non citabili per esigenze di brevità e concisione.

Ho provato ad andare da uno psicologo (o psicoterapeuta) anni fa, ma non mi è servito a niente. Stava sempre in silenzio. Come mai?

Al di là del dispiacere che ogni professionista possa provare quando sente riferire queste esperienza di primo contatto fallimentare, è plausibile che in certi casi il silenzio sia stato utilizzato scientemente per evitare di “riempire” lo spazio proprio del paziente, permettendogli quindi di dire tutto ciò che voglia senza essere interrotto o deviato dal suo corso associativo dei pensieri. Come in ogni contatto umano, le parti possono essere più loquaci così come tendenti al silenzio. In un contesto di valutazione e intervento terapeutico individuale, lo psicoterapeuta dovrebbe essere capace di valutare autonomamente (ancor prima dei precetti teorici propri di ogni scuola di pensiero) quando intervenire e quando astenersi. È comunque utile riferire queste impressioni, e nel caso di incompatibilità percepita tra paziente e psicoterapeuta, non procedere oltre nella relazione.

Cosa posso fare con la fattura che mi ha rilasciato lo psicologo? Serve a qualcosa?

La fattura che viene rilasciata dopo il pagamento dell’onorario, con frequenza variabile (usualmente mensile), può essere utilizzata per la detrazione IRPEF, così come tutte le altre prestazioni sanitarie esenti da IVA. Non è necessario che sia stata effettuata una prescrizione medica per poter detrarre. Ogni anno, in occasione della dichiarazione dei redditi, si possono inviare le fatture accumulate ottenendo una detrazione del 19% dall’imposta lorda ma solo per la parte che supera la cifra di 129,11€. Per quanto la procedura sia molto semplice , il terapeuta può fornire indicazioni a riguardo qualora richiesto.

Come posso verificare le credenziali del professionista al quale mi sto rivolgendo?

Attraverso una verifica nominativa sul sito dell’Ordine degli Psicologi di appartenenza regionale è possibile accertarsi che la persona alla quale ci si sta rivolgendo sia effettivamente qualificata per lo svolgimento del lavoro. Tutti i casi di esercizio della professione senza i titoli e le qualifiche necessarie sono da rendere noti attraverso segnalazione all’Ordine, e questo è possibile anche (e soprattutto) grazie ai contributi degli utenti.

Come posso fare per contattarla e richiedere un appuntamento?

Alla sezione CONTATTI è possibile trovare quanto richiesto. In linea generale e in base all’urgenza, i primi appuntamenti vengono fissati entro due settimane dalla chiamata.

Come vengono gestite le sedute mancate o i cambiamenti di orario?

Tranne specifiche eccezioni, gli appuntamenti hanno cadenza regolare e si tende a mantenerli sempre negli stessi giorni della settimana, alla stessa ora. Esigenze specifiche (turni, incarichi a chiamata, trasferte..) vengono gestite caso per caso. Le sedute saltate senza preavviso vengono addebitate per intero.