Il reviewing dei professionisti da parte dei pazienti : inaffidabile metro di valutazione o spinta a riflettere sulle pratiche e sui modi?
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Credo sia plausibile sostenere che ci troviamo in un momento storico in cui le informazioni siano facilmente accessibili da chiunque. Nella fattispecie, mi riferisco a chiunque possieda una connessione ad internet e abbia la curiosità o il desiderio di informarsi non soltanto per conoscere (in senso culturale) ma anche per pervenire ad una scelta consapevole, alla luce di tutti i dati disponibili. Ancor più specificamente, mi sto riferendo alla possibilità recente di poter ottenere informazioni, fornite da altri utenti (più o meno esperti o direttamente coinvolti), su specifici professionisti ai quali ci si vorrebbe rivolgere per un consulto o una richiesta di intervento. Tra questi, è imprescindibile collocarci in qualità di psicologi e psicoterapeuti che, nelle forme libero professionali, operano attraverso un committente, chiamato a seconda degli orientamenti, in modi differenti (cliente, paziente, utente…).
In origine era il passa-parola : la soddisfazione (o insoddisfazione) dei clienti/pazienti spesso poteva determinare la credibilità e le possibilità di lavoro di un professionista, che si garantiva una platea più o meno ampia di committenza. Probabilmente il passa parola nella sua accezione più stretta è tutt’ora una delle prime forme di contatto tra professionista e utenza, sebbene in tempi molto recenti e proprio attraverso l’incremento delle possibilità di trovare su internet informazioni attienenti a ciò che si sta cercando, tale fenomeno abbia raggiunto proporzioni decisamente maggiori e risonanze molto più ampie che in passato.
Risulta infatti relativamente facile accedere a portali che si occupano di mettere insieme valutazioni fornite da utenti, spesso anonimi, che forniscono un punteggio o un giudizio personale.
A mio avviso la possibilità di consultare, ma specialmente di pubblicare, giudizi inerenti all’operato di un professionista della salute mentale presenta una intrinseca ambivalenza :
- Da una parte permette a chi volesse rivolgersi allo specifico professionista di accedere ad una pletora di informazioni fornite da chi già ha fruito dei suoi servizi e che costituisce una forma di suggerimento “tra pari” e spesso risponde a domande che, per svariati motivi, talvolta non vengono fornite dal diretto interessato (ad esempio tempi di trattamento, aspetti legati alla reperibilità, all’onorario, all’assolvimento di pratiche di fatturazione..)
- Dall’altra parte, l’anonimato fornito da internet, le idiosincrasie personali che condizionano un giudizio obiettivo e nel nostro caso la natura di alcuni disagi psicologici, possono produrre una massiccia distorsione della realtà dei fatti, talora fino a sfociare nell’offesa e nella svalutazione gratuita.
Al netto di situazioni che si possono trovare agli estremi di questo continuum valutativo (diffamazione versus idealizzazione irrealistica), sostengo che la tendenza allo scambio di opinioni anche su figure che solitamente non venivano messe in discussione possa costituire un empowerment dei pazienti e più estesamente di tutte le persone che desiderino conoscere prima di intraprendere un percorso o decidere su chi possa effettuare un intervento.
Questo permette, in linea diretta, di passare da una posizione di passività e ricezione della cura decisa da qualcun altro e non contrattabile, ad una di comparazione deliberata e di auspicabile ricerca della qualità prima che della fama del professionista.