Questioni difficilmente digeribili : l’omofobia si combatte nel quotidiano
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Tra stepchild adoption, teorie del gender, omicidi che vedono protagonisti personaggi tacciati o sospettati di omosessualità, suicidi all’interno della comunità LGBT, pare proprio che il progresso verso una completa accettazione della questione omosessuale sia lento e molto faticoso in Italia.
Ho percepito lo stimolo a riordinare le idee sulla tematica dell’omofobia proprio a partire da fatti di cronaca e da avvicendamenti politici, confermando la mia idea che fino al momento in cui un aspetto o un movimento evolutivo della società venga percepito come difficilmente integrabile e continuamente saliente, allora questo ci indica che non si stanno facendo passi nella direzione giusta. Mi spiego meglio : nessuno di noi, ad oggi, dubiterebbe dei diritti civili di una persona di colore. I suoi diritti e la sua integrazione sono compiuti, pertanto il problema non si pone alla coscienza e non è oggetto di dibattiti di chiara matrice regressista. Una parità compiuta è una parità che nel quotidiano è contemporaneamente osservabile e invisibile. Esiste ma si nota soltanto nei casi in cui le differenze tra una minoranza e una maggioranza vengano esasperate, o studiate per finalità sociologiche o antropologiche.
Prima ancora dei matrimoni gay, dei figli in provetta, dell’adottabilità di figli all’estero o in Italia, ritengo che si debba partire da un altro punto ancora precedente rispetto alle questioni di certificazione dei diritti civili : si può partire dall’omofobia.
L’omofobia non è una fobia in senso stretto, e nel linguaggio comune ha assunto l’accezione di “intolleranza nei confronti di persone che manifestano interesse di natura fisica e/o affettiva nei confronti dello stesso sesso”. Può avere una componente innata (legata all’attrazione versus repulsione nei confronti di un partner che abbia un apparato genitale diverso dal proprio in grado di garantire la riproduzione e la prosecuzione della specie), ma affonda le sue radici in massima parte nel clima culturale di riferimento. L’omofobia, a mio parere, viene trasmessa tacitamente per linea familiare, ma anche attraverso l’esposizione ai media, nei contesti scolastici e in quelli ricreativi. I bambini e le bambine assorbono acriticamente l’idea per cui i supereroi siano maschi e le divinità del focolare siano femmine. Molte giovani menti (e molti giovani cuori) vengono distorti da certi stili educativi familiari, che donano rassicurazione tanto più la prole diventa aderente al modello di riferimento : maschi che vogliono fare gli ingegneri e femmine che vogliono avere figli in abbondanza. Le domande riguardo alla sessualità sono sempre e comunque riferite al maschio e alla femmina come complementari. I chiarimenti sulle curiosità riguardo, ad esempio, a due donne (o due uomini) che stiano insieme o si tengano per mano sono somministrati proiettando un senso molto aleatorio di giustizia e correttezza naturale : sì, possono anche stare insieme, ma solo la mamma e il papà sono la cosa giusta.
Nelle scuole di qualunque grado e ordine, il problema dell’omofobia viene completamente obliato, anche qualora vengano messi in atto comportamenti aggressivi nei confronti di allievi omosessuali. Il problema è il mantenimento dell’ordine e non la trasmissione di un modello culturale che tenga conto dell’integrazione e dell’assoluta esistenza di gay, lesbiche, transessuali, bisessuali.. I docenti, spesso in difficoltà loro stessi con questa tematica od impreparati a gestirla, glissano o non contribuiscono ad un progresso attivo, attraverso il confronto, ad esempio, o con la proposta di interessarsi tutti insieme alla questione attraverso contributi culturali e letterari. Inoltre, le rappresentazioni degli omosessuali sui media italiani sono improntate alla caricaturalità e alla stereotipizzazione ; questo penso sia molto negativo, nella misura in cui un giovane o una giovane si sentono rappresentati solo da uomini effeminati che si occupano di gossip e televendite, o da donne mascoline in grado di riparare ottimamente un tubo o sostituire un lampadario in due minuti. E ancora, può sembrare che gli unici modelli possibili per i giovani omosessuali siano quelli, e che non esista un modello di riferimento alternativo : dove sono le persone che non partecipano ai coloratissimi Pride? Esistono uomini, donne, giovani, anziani, che magari hanno un partner dello stesso sesso con il quale convivono felicemente da tempo? Ci sono veramente calciatori e modelle omosessuali che siano famosi non per le loro preferenze sessuali ma per il talento e la capacità?
Se non ci si può rivolgere né a scuola, né in famiglia e né leggendo i giornali o guardando la televisione per ottenere un modello in cui identificarsi, ci si sente sperduti. L’impossibilità di appoggiarsi a qualcosa che costituisca una “norma nella norma”, ma che sia positiva e valorizzante, è a mio avviso un grosso limite al benessere degli omosessuali italiani di oggi. È sulle piccole cose che si può lavorare fattivamente, ancor prima che sulle indispensabili vittorie nell’ambito dei diritti civili. Queste piccole cose richiedono consapevolezza e volontà di cambiare la situazione. Perché chiedere a una giovane ragazza “Quando ci presenti il fidanzato?” senza neanche proseguire la domanda aggiungendo “..o fidanzata?”. Perché fingere una superficiale accettazione di due uomini che si tengono per mano, mentre il dialogo interno che si produce è tutto incentrato sullo “schifo”, sul “disgusto”, sulla “immoralità”? Che tipo di società possiamo ottenere se anche le generazioni più anziane possano rendersi conto che le discriminazioni nei confronti degli omosessuali sono intollerabili, appartenenti ad una mentalità tribale o fortemente legata alla religione, che anziché diffondere messaggi di uguaglianza altro non fa che comunicare arbitrariamente cosa sia giusto e cosa sia sbagliato decidere, e ancor peggio che cosa sia corretto essere? Penso sarebbe una società migliore, se non altro al passo con i tempi : negare lo sbarco sulla luna non può cancellarlo concretamente dalle numerosissime memorie storiche, così come l’accanimento sull’idea di una “famiglia tradizionale” che si basa su una ignota e incollocabile tradizione può impedire che la società muti in forme e configurazioni nuove.
La società italiana certamente si muove prima del legislatore, che nel nostro caso appare sordo, confuso, distratto da messaggi religiosi che nulla hanno a che fare con l’autoevidenza del fatto che ad una società cambiata servano leggi nuove, modelli culturali nuovi, che possono anche risultare sgraditi ad una parte di cittadini.
Penso che l’omofobia sia un fenomeno da circoscrivere e poi eliminare prima ancora di concentrarsi su questioni legate al nome e alla forma da dare alle unioni civili e alla possibilità di adottare e procreare per le coppie omosessuali. Non richiede (in larga parte) una lotta attiva, cruenta, che preveda un vincitore e un vinto, bensì la consapevolezza che esista la diversità e che vada accolta legittimandone l’esistenza senza considerarla “altra-da-noi”. Non vi è nulla di intrinsecamente minaccioso nell’estensione dei diritti a chi già è uguale da noi ma si differenzia soltanto per un aspetto assolutamente infinitesimale della propria vita. L’omosessualità non può quindi diventare la costituente di un’esistenza intera, ma piuttosto una peculiarità la cui esistenza trova pieno riscontro sociale. È la sua negazione, patologizzazione, ascrizione ai contesti di vita più squallidi e deturpanti, che produce il disagio, e certamente non viceversa.