Il male di vivere : il ruolo dei disturbi dell’umore e d’ansia nella percezione del dolore fisico

Il male di vivere : il ruolo dei disturbi dell’umore e d’ansia nella percezione del dolore fisico

 

Su quanto siano intollerabili e pesanti la depressione e l’ansia, molte parole sono state scritte, molte riflessioni sono state fatte. Si pensa spesso che il male invisibile, quello che non si può diagnosticare con un esame del sangue o con una risonanza magnetica, abbia una influenza strettamente intrapsichica. Ingenuamente, si può perfino dubitare di quanto il male di vivere possa uccidere una persona pur tenendola in vita, e così si sprecano i solleciti, gli inviti alla tenacia, gli appelli alla forza di volontà. Eppure la volizione  non ha nulla a che fare con la depressione o con l’ansia : non si sceglie di essere depressi o terrorizzati da qualcosa, né si può pensare di “superare” un disturbo dell’umore e d’ansia con gli sforzi più tangibili. Sylvia Plath, scrittrice e poetessa statunitense morta suicida all’età di trent’anni, ci parla del suo male con lucidità, situandolo nel quotidiano :

 

 

“ Because wherever I sat -on the deck of a ship or at a street café in Paris or Bangkok- I would be sitting under the same glass bell jar, stewing in my own sour air”

 

che possiamo tradurre con..

 

“Ovunque io fossi seduta -sul ponte di una nave o ad un caffè a Parigi o Bangkok- ero pur sempre seduta sotto la stessa campana di vetro, e mi cuocevo lentamente nella mia stessa aria inasprita”

 

 

Per la Plath la depressione aveva la forma di una campana di vetro : qualcosa che impediva il contatto con l’esterno pur rimanendo apparentemente tangibile. Qualcosa che però soffocava, intrappolava, schiacciava. La sua “lenta cottura” nella sua stessa “aria inasprita” rende bene l’idea di un male costante, che non si ferma mai, e che è assolutamente indipendente dal dove e dal come : sul ponte di una nave, a Parigi o a Bangkok l’angoscia ci accompagna sempre.

Voglio che proprio Sylvia Plath ci accompagni in questa trattazione, dal momento che ciò di cui ha parlato riguarda molto da vicino la nostra tematica : la sensorialità nei disturbi d’umore e d’ansia, o ancor più precisamente, il dolore che è percepito dai sensi ma che parte dall’anima.

 

 

“The silence depressed me. It wasn’t the silence of silence. It was my own silence”

 

ossia

 

“Il silenzio mi deprimeva. Non si trattava dell’assenza di suono del silenzio. Era il mio silenzio interno”

 

 

Ed è proprio all’interno che dobbiamo rivolgerci per capire qualcosa sul corpo depresso e ansioso. Proprio quell’insieme di organi, fluidi, cellule e tessuti vari che pare essere così inspiegabilmente compromesso dai disturbi dell’umore.

 

Come è possibile che un disturbo tanto invalidante ma impalpabile sia in grado di far permeare il male dalla psiche al soma? Proverò a fare luce nel modo più semplice possibile.

 

I disturbi dell’umore e dell’ansia possono avere come correlato somatico molti sintomi : insonnia (o al contrario ipersonnia), anoressia (o iperfagia), tensione muscolare cronica, emicranie, cefalee, gastrite e reflusso esofageo, per citarne alcuni. È anche vero, per quanto sia necessario sottolinearlo sempre, che una condizione di sofferenza fisica acuta o permanente può provocare un disturbo dell’umore (Woo,2010). Risulta altrettanto indispensabile ricordare che uno psicologo può ipotizzare una genesi non organica di una lamentela fisica soltanto dopo che tutte le possibili cause siano state acclarate con indagini strumentali e con la collaborazione di altre figure professionali : questo significa che di fronte ad un dolore fisico riferito dal paziente, l’ipotesi di origine psicosomatica dovrebbe essere l’ultima, e considerata esplicativa solo dopo aver escluso ogni altra possibile causa. In buona sostanza, prima di affermare che una persona sta così male a causa dello stress, bisogna accertarsi sia della direzione causale del dolore sia di ipotesi di natura corporea anziché mentale.

 

Di fronte a casi come questi, è lecito chiedersi :

 

è il dolore che ti rende così depresso, o il tuo essere depresso amplifica la percezione del dolore?

 

 

Ci focalizziamo ora sulla seconda parte della domanda, che trova risposte nella letteratura clinica : i disturbi dell’umore (che comprendono la depressione, la mania, il disturbo bipolare, la ciclotimia, la distimia, la depressione post-partum ecc..) e i disturbi d’ansia (ansia generalizzata, disturbo da attacchi di panico, fobie, ansia sociale ecc..) rendono verosimilmente più sensibili ad alcuni tipi di dolore fisico (Bär, 2005). Peraltro, viene ipotizziato che la fibromialgia, un disturbo caratterizzato dalla presenza imponente di sintomi fisici invalidanti senza una origine apparentemente tracciabile, sia in realtà da considerare come una patologia affettiva alla stessa stregua della depressione, dal momento che i farmaci che alleviano la depressione riescono anche a migliorare la condizione fisica dei fibromialgici. Ad un livello strettamente psichiatrico, conoscere la patofisiologia del dolore (compreso quello della fibromialgia) può essere utile ai colleghi psichiatri per impostare terapie farmacologiche che riescano ad essere efficaci sia se consideriamo il dolore come causa di depressione che nel caso opposto. Nel caso dello psicologo e dello psicoterapeuta invece può risultare utile per evitare eccessive razionalizzazioni delle lamentele fisiche portate dai pazienti : la depressione e i disturbi dell’umore non fanno solo male alla voglia di vivere, ma anche al corpo, e spesso con intensità tale da non permettere lo svolgimento di attività che non siano quelle strettamente necessaria alla sopravvivenza. Il dolore va “sognato”, certamente, ma va anche considerato come manifestazione invalidante nel quotidiano. Queste riflessioni sul legame tra depressione, disturbi d’ansia e percezione del dolore apportano contributi interessanti anche ad altre discipline, come ad esempio l’anestesiologia e le sue diramazioni che si occupano di terapia palliativa : si aprono aree di intersezione tra le diverse professioni.

Come nota conclusiva, ritengo importante affermare che il dolore fisico nella depressione e nei disturbi d’ansia possa costituire un grosso ostacolo al miglioramento del quadro sintomatologico e debba essere ascoltato, compreso, magari anche interpretato ma non giudicato o messo in dubbio. Ci è sufficiente confrontare il nostro umore durante un episodio di forte torcicollo, e dopo l’assunzione di un analgesico : qualunque sia stata la causa, conveniamo sul fatto che il dolore fisico tolga la capacità di pensare ad altro che non sia l’acuta percezione del fastidio

Si può intervenire su questo tipo di disagio, tenendo a mente gli aspetti psicologici tanto quanto quelli fisici, affinché la serenità non sia soltanto un momento di tregua dalla sofferenza, quel tipo di tormento che faceva scrivere alla Plath :

 

 

“I fixed my eyes on the largest cloud, as if, when it passed out of sight, I might have the good luck to pass with it”

 

ossia

 

“Avevo puntato gli occhi sulla nuvola più grande, quasi come se, una volta scomparsa, avessi magari avuto la fortuna di scomparire anche io con lei”

 

 

 

Bibliografia :

 

Adler G. , Gattaz W.F. (1993). Pain perception threshold in major depression. Biological Psychiatry, volume 34, pagg 687-689

Bär, K.j, Brehm, S., Boettger M.K., Boettger S., Wagner G., Sauer H. (2005). Pain perception in major depression depends on pain modality. Pain, volume 117, pagg 97-103

Gracely R.H. , Ceko M. , Bushnell M.C. (2012) .Fibromyalgia and depression. Pain Research and Treatment, volume anno 2012

Plath S. (1971). The bell jar. New York, Harper&Row

Woo, A. K. (2010). Depression and anxiety in pain. Reviews in Pain, volume 4 (1) , pagg 8–12.

 


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