Quelle quattro cose che avrei tanto voluto sapere prima di studiare psicologia : edizione riveduta e corretta
Category : Articoli
Lo studio della mente umana affascina ancora moltissimi neodiplomati, L’idea di studiare un qualcosa di così quotidianamente spendibile (nelle relazioni umane, familiari, sentimentali..) e di così potenzialmente rivoluzionario e trasformativo fa sì che molti giovani decidano di intraprendere lo studio della psicologia, per diventare un giorno…psico-qualcosa.
Mi viene fatto notare spesso che tendo a concentrarmi sulla psicologia clinica – anzi, sulla psicoterapia – come unico possibile ruolo dello psicologo. Cercherò quindi di essere più prospettico e meno settoriale affermando fin da subito che gli psicologi possono fare moltissime cose, in effetti, ma ne possono fare talmente tante che non si capisce perché abbiano studiato psicologia in primis.
Ce lo ricordano i pedagogisti, ce lo ricordano i presidenti della repubblica e i primi ministri, ma anche gli addetti alla cultura e all’istruzione (con un grado variabile di retorica), e in ultimo luogo ce lo ricorda anche il buonsenso : i giovani sono pieni di aspettative e di voglia di fare. Non sarebbe meraviglioso che qualcuno leggermente più avanti nel percorso potesse dirgli cosa potrebbero incontrare poco più avanti, così da fare una scelta libera e consapevole?
Probabilmente lo sarebbe. E da qui partiamo : giovane dottore o dottoressa che vuoi studiare psicologia, vorrei virgilianamente portarti a fare un tour degli aspetti più spigolosi della tua futura professione, così che tu possa decidere se ne valga la pena di spendere il tuo tempo e le tue risorse in un percorso di studi così particolare.
Mi sento di portare avanti questa breve missione per una specie di riscatto generazionale, presumo. Ricordo che quando ho deciso di iscrivermi alla facoltà di Psicologia, le informazioni disponibili le avevo tutte reperite su internet, su forum di utenti e studenti (e perfino di pazienti!), dal momento che chiedendo alle persone, in giro, non avevo ottenuto nessuna informazione in più di..
“sarebbe piaciuto farlo anche a me!”
oppure
“quindi prescriverai gli ansiolitici?”
o ancora
“ma è tipo filosofia quindi?”
Le informazioni che mi sono state poi fornite dagli Atenei, con i loro programmi ricchi di corsi altisonanti, sono state (nel migliore dei casi) poche e vaghe. Se anche le facoltà di Psicologia dovessero allinearsi alle modalità di contatto tra studenti, università e mondo del lavoro anche con funzione di job orienting e job placement come quelle ad esempio proposte dai politecnici, allora sì che l’inconsistenza si paleserebbe in tutta la sua drammaticità.
Non è comunque il caso di essere pessimisti, anche perché non ci siamo ancora addentrati nel vivo della questione. Se qualcosa potesse sembrarvi davvero troppo spigoloso, o inutilmente critico, o sterilmente improduttivo, pensate a questo scritto come una specie di forma di “affetto rude” (gli inglesi usano il termine tough love) da parte di un collega della generazione prima della vostra, che sicuramente non ha trovato in quella ancora precedente la trasparenza e l’onestà che cercava. Peraltro sono grato alle critiche che si possono muovere al mio pensiero, perché mi spingono a riflettere e a moltiplicare le idee.
Da dove partire quindi? Partiamo dall’ordine associativo libero, ossia sparso…
I. La professione dello psicologo è priva di hard skills, per cui diventa spendibile solo in pochi e circostanziati contesti
Vi propongo una immagine e vi chiedo di trovare gli psicologi presenti nella scena..
Quanti psicologi avete individuato?
Nessuno?
Uno?
Centomila?
Se pensate che la risposta sia “nessuno”, vi comunico che è quella esatta : si tratta di una scena di primo soccorso da incidente stradale (lieve e senza vittime, se vi foste preoccupati..) in cui sono presenti i soccorritori (medici) e l’autorità (la polizia). Se pensate invece di vederne uno, mi congratulo con la speranza e il vivo ottimismo che nutrite nei riguardi della Psicologia dell’Emergenza, un settore di studio in marcata diffusione. Se ne avete visti centomila, ecco, in questo caso la prognosi mi pare meno fausta anche a livello puramente percettivo.
Ironie a parte, cosa c’entra la scena di un soccorso con le competenze dello psicologo? E perché chiedo quanti psicologi siano presenti?
Il medico che soccorre il malcapitato, lo posiziona in maniera corretta, controlla la pervietà delle sue vie respiratorie e compie altre manovre per tentare di minimizzare il danno, massimizzare le possibilità di sopravvivenza e monitorare le condizioni in attesa dell’ambulanza sta esplicitando le sue hard skills , ossia competenze di base. Sai posizionare un paziente? Sai intubarlo e sedarlo? Se il medico può rispondere affermativamente, allora può dirsi dotato di quella specifica skill, che può essere più o meno raffinata ma è stata appresa, integrata e utilizzata. Lo stesso medico che può soccorrere una persona a Berlino può farlo anche a Tel Aviv come a Mosca o nel deserto dei Tartari. Non esiste il bisogno, ad esempio, di adattare la procedura alla cultura di riferimento del paese dato per evitare possibili traumi psichici dovuti alla violazione di regole tacite . Questo adattamento sarebbe una delle soft skills che il medico potrebbe possedere, ma che non gli sono indispensabili e che non costituiscono la base operativa del suo lavoro.
Ora passiamo allo psicologo. Lo psicologo italiano vive di soft skills, e ci piace moltissimo elencarle per punti :
- capacità di ascolto empatico
- capacità di comprendere una situazione da più punti di vista
- capacità di sospendere il giudizio per evitare che il proprio contributo valoriale possa opacizzare il rapporto con il paziente
- capacità di teamwork
- capacità di contenimento emotivo e supporto psichico
…e così via. Tutte queste competenze sono molto utili nella relazione umana, ma come possono essere spese nelle organizzazioni? O in una azienda? O in un contesto di emergenza come quello sopra citato? Insomma, tutte queste soft skills dello psicologo italiano bastano a renderlo un soggetto indispensabile e spendibile all’interno del tessuto sociale e lavorativo?
La mia risposta è : no.
E penso dipenda da due fattori causali. Il primo fattore è che la società e il mercato del lavoro non sono stati sollecitati a considerare gli aspetti psicologici come meritevoli di primaria e indispensabile attenzione : chi se ne importa se l’operaio sta sviluppando un disagio a causa del mobbing ricevuto in azienda? Tanto lo licenzio, e ne assumo uno più giovane e disperato. Il fatto che questo poi produca un grosso danno nel medio e lungo termine all’azienda stessa, viene compreso solo a posteriori (con ingente spreco di risorse, sia umane che economiche). Se la figura dello psicologo avesse una maggiore rilevanza istituzionale, il dilemma soft skills versus hard skills sarebbe meno arduo, anche perché le competenze generali sarebbero ritenute indispensabili (come quelle del medico che soccorre il malcapitato).
Il secondo fattore ha a che fare con la formazione universitaria. La formazione in psicologia, nel nostro Paese, sfocia spesso in un accumulo di nozioni, date, autori, frasi da citare, concetti mutuati da ricordare, ingeriti durante una pantagruelica abbuffata nel corso dei cinque anni di università (considerando la laurea triennale e il biennio di specializzazione). Tutto questo nozionismo e questa glorificazione dell’enciclopedismo non fa altro che replicare la forma mentis dei docenti, che in larga parte provengono da esperienze formative di lustri precedenti e che ancora non colgono la necessità di creare corsi che producano apprendimenti spendibili nella realtà lavorativa del laureando. Per quanto possa certamente essere interessante conoscere il motivo che ha spinto Willy Baranger a sposare la moglie Madeleine e trasferirsi con lei in Uruguay, diventando una coppia non solo di sposi ma anche di talentuosi psicanalisti, questo apprendimento non costituirà una hard skill, ma solo una corrispondenza narcisistica con gli interessi del docente, che vuole gli siano ripetute le cose che ha piacere di udire.
Anzi, a dire la verità non costituirebbe neppure una soft skill. Se vogliamo considerare il nozionismo universitario come equipaggiamento per l’agone lavorativo, possiamo coniare il termine di very soft skill. Un cucchiaino di plastica per mangiare una bistecca alla fiorentina.
Esiste la possibilità di apprendere delle hard skills anche per il giovane psicologo? A mio avviso, si.
Questo però richiede un cambio di prospettiva a partire dai corsi universitari, che dovrebbero tenere a mente come missione finale non il mantenimento dello status quo (oltre che dei docenti ultracentenari che chiedono perché i coniugi Baranger si siano sposati) ma l’aggancio di ogni corso al fine della spendibilità professionale. Se è vero che il settore della psicologia clinica è ormai saturo, perché continuare a proporre indirizzi in psicologia clinica vendendone l’utilità dietro una cortina fumogena di poca chiarezza e molta autoreferenzialità? Se il mercato del lavoro richiede (richiedesse) allo psicologo di conoscere, a livello del tutto ipotetico..
- una o due lingue straniere in modo fluente
- l’utilizzo dei test X, Y e Z
- la capacità di creare un gruppo di lavoro e monitorarne l’andamento in rapporto ad un obiettivo
- la capacità di effettuare psicodiagnosi attraverso uno strumento quantitativo e qualitativo
- l’utilizzo del computer
- conoscenze legate al marketing aziendale e alla piccola fiscalità
…questo significherebbe che le hard skills su cui puntare in primissima istanza sono quelle, alle quali possono venire affiancate anche altre soft skills ma la cui assenza non pregiudica la rapida collocabilità lavorativa. Certamente in un mondo in cui questo tipo di skills fossero richieste per formare laureati preparati e indispensabili alle aziende, l’università dovrebbe compiere un atto di autoriflessione, ma non quel genere di riflessione compiaciuta da centocinquantenario, bensì propedeutica al cambiamento.
La nota finale : l’università italiana, le facoltà di Psicologia, offrono al laureando una gamma di hard e soft skills la cui spendibilità nel mercato del lavoro è, se non garantita, quantomeno fortemente richiesta? Ad oggi no.
II. Le figure professionali che attualmente guadagnano dignitosamente sono gli psicologi che formano psicologi
Formazione in psicoterapia a parte (che meriterebbe lo spazio di un intero congresso!), la laurea in psicologia, anche alla luce di quanto detto prima, non offre uno sbocco professionale diretto e/o congruente con quanto speso in termini di denaro e tempo. Il giovane laureato passa attraverso le forche caudine del tirocinio obbligatorio, che gli porta via un anno, talvolta (quanta tenerezza..) ingannandosi che un giorno, dopo un po’ di volontariato e tanto volantinaggio, potrà fare un concorso pubblico e magari prendere il posto del suo Tutor aziendale, ignaro forse del fatto che prima di lui hanno avuto lo stesso pensiero intere generazioni di tirocinanti che hanno sviluppato un appetito cannibalico e divorante nei confronti di chiunque abbia anche solo l’ardire di posizionarsi prima di loro nella tacita, implicita, segreta lista d’attesa del concorso. Che fare dunque, dopo aver mandato curricula a tutte le aziende che possano aver bisogno di uno psicologo, dalla A di ABB (quella dei trasformatori) alla Z di Zagat (quella che fa recensioni di ristoranti) ?
La risposta ci viene prontamente suggerita da tutti coloro i quali si occupano di formazione : non sei ancora formato abbastanza, dato che l’università non si occupa di creare psicologi in linea con le esigenze di mercato, per cui con una modica cifra e un irrisorio investimento di tempo potrai accedere ad una serie di corsi extra che ti insegnano a fare davvero ciò che ti piacerebbe fare!
Ma ci pensate? Per una giovane psicologa poter finalmente imparare a somministrare e interpretare un test di intelligenza (che all’università ha intravisto soltanto come slide fugacemente rimossa), nella promessa di andare a lavorare proprio in un reparto di Neuropsichiatria Infantile, magari anche retribuita, pare la realizzazione di un sogno. Anzi di tutti i sogni degli ultimi anni. Finalmente qualcosa di tangibile.
I formatori spesso insistono sulla supposta spendibilità delle competenze acquisite nei loro corsi e nei seminari, e hanno in effetti il grande talento di trovare un modo di proporre le nozioni in modo accattivante. Spesso le lezioni sono molto interattive, coinvolgenti. Tutti si sentono utili e indispensabili, e molto affiatati. A mio avviso non ci sarebbe bisogno di sopravvivere attraverso la formazione degli psicologi se l’università assolvesse un compito formativo integrale e al passo con i tempi, ma rimango dell’idea che le formazioni post universitarie sono erogate da soggetti ed aziende private, e non essendo obbligatorie possono essere scelte solo in base al proprio effettivo interesse e necessità professionale. In fondo, l’università fornisce (idealmente) una preparazione di base, e non può sapere a priori se mi servirà acquisire competenze sul grado di distress dei pazienti asiatici in rapporto alle banane troppo dritte. In questo senso, la formazione post lauream ha una utilità notevole.
Quello che trovo francamente disonesto a livello intellettuale è il fatto che spesso ci siano corsi completamente inutili, costosi, organizzati da persone che non hanno avuto mai bisogno del tipo di formazione che stanno proponendo perché provenienti da realtà in cui bastava il riconoscimento del proprio titolo di studio a indirizzo psicologico per diventare psicologo (il 1989 è stato un anno molto importante per la professione e sono state compiute sanatorie di varia natura per quanto riguarda i titoli di studio). Altri sono i casi in cui gli attestati finali di partecipazione vengono ritenuti titolo valido alla partecipazione a concorsi pubblici (ad esempio) mentre invece sono nulla più che carta stampata di buona grammatura. Questo genere di informazione, a mio parere, dovrebbe essere reperita prima di spendere tempo e denaro nella formazione post-universitaria.
La nota finale : la formazione privata post-lauream, che è certamente lucrosa per i formatori, può supplire alla mancanza di pragmatismo tipica dell’università e delle facoltà di psicologia attraverso l’insegnamento di concetti e abilità pratiche? In alcuni casi si, ma la qualità è molto eterogenea.
III. Si formano psicologi come se dovessero andare a lavorare tutti quanti nel settore pubblico, che sappiamo essere inaccessibile da ogni fronte
Gli ultimi grandi concorsoni per psicologi nel settore pubblico, quelli con “ricchi premi e cotillons”, sono stati fatti per l’ultima volta negli anni novanta. Sono seguite poi assunzioni sporadiche, sempre per concorso, nel settore sanitario e dei servizi sociali (centri di salute mentale, consultori, servizi territoriali..) . Ad oggi gli psicologi che lavorano nel settore pubblico sono di età media piuttosto elevata, ed esercitano in larga parte una concomitante attività privata. Infatti per accedere ad un posto da psicologo nella sanità, ad esempio, è necessario essere psicoterapeuti (di qualunque orientamento). Arriviamo direttamente al punto, giovane psicologo o psicologa in erba.. :
- Per lavorare nel settore pubblico, uno psicologo deve partecipare ad un concorso. L’ultimo risale agli anni novanta. Le probabilità che venga fatto un altro concorso per assumere giovani psicologi nel settore pubblico sono pari a quelle del rinvenimento concomitante di Atlantide e di forme di vita intelligenti su Marte, nello stesso pomeriggio.
- Se anche venisse organizzato questo concorso per un posto pubblico, sarebbe necessaria l’abilitazione alla psicoterapia (ossia formazione extra e cospicuo investimento economico)
- L’esercizio della psicoterapia, ad oggi, è una delle attività più praticate dai giovani psicologi, ed è anche quella che ha il peggior rapporto tra investimento economico e ritorno (=spendi tanto e per anni non guadagni nulla)
- Le scuole di psicoterapia sono fondate, gestite e dirette da molti dei colleghi che negli anni novanta sono entrati nel servizio pubblico grazie al mitico concorsone e hanno iniziato ad esercitare (e a guadagnare) al tempo in cui bastava una targa fuori dalla porta e l’utenza si avvicinava incuriosita.
- Se la psicoterapia nel privato, ai giovani psicologi, rende quasi nulla, cosa permette a queste scuole di sopravvivere basandosi su corsi che talvolta sono la replica di quelli dell’università, sia per contenuti che per forma?
La nota finale : giovane futuro collega, se proprio ci tieni a specializzarti in psicoterapia non farlo pensando di poter accedere ai concorsi pubblici in futuro. Inoltre, prima che inizi a guadagnare qualcosa devi sborsare molto, molto denaro. La formazione ricevuta, poi, non è detto che sia di qualità, nonostante gli open days delle scuole abbiano vini pregiati, docenti con borse di raffinata pelletteria e tutti gli ex allievi sembrino agenti Tecnocasa (ovvero consiglino la formazione che hanno loro stessi avuto con vero integralismo e inarrestabile logorrea). Molta attenzione nella scelta eventuale della scuola di psicoterapia! (se esistesse la formula “soddisfatti o rimborsati”…)
IV. Sentire spesso che gli psicologi dovrebbero “inventarsi il lavoro” è una grande sciocchezza
Le professioni di cinquant’anni fa non sono più le stesse di oggi. La competizione, nella libera professione, è spietata. I poveri psicologhini appena laureati ricevono le attenzioni seduttive dei corsi di formazione, delle scuole di psicoterapia, di quelli che organizzano master, e a forza di girare vorticosamente a mandare curricula nelle comunità (che peraltro non possono più assumere psicologi, ma solo educatori professionali) stancamente si appoggiano a qualcosa che pareva solido, ma in realtà era il paravento di un costosissimo corso di Gestione del Senso di Colpa durante la Transustanziazione con il metodo Freisenklatz.
Questo genere di attività laboratoriali a pagamento organizzate da psicologi sono numerosissime e molto variegate nei contenuti. Costituiscono anche uno dei modi migliori per il giovane dottore (o dottoressa) per farsi conoscere e guadagnare qualcosa facendo esperienza. Molte volte sono una occasione per imparare qualcosa di nuovo e socializzare. Alcune volte invece risultano talmente tanto approssimative, amatoriali e fondamentalmente basate su un bisogno inesistente da chiedersi quale sia il senso di aver studiato così a lungo per poi ritrovarsi a fare laboratori a pagamento, di faticosa gestione, di faticosissimo reperimento dell’utenza e di pressoché inesistente ritorno economico?
Giovane collega, una volta uscito dall’università probabilmente avrai già capito che il lavoro te lo devi “inventare” : ma cosa significa inventarsi un lavoro? Alle mie orecchie è sempre suonato come un “tirare a campare”, come la versione a norma di legge dello scippo e borseggio. Mi è anche sempre suonato come sinonimo di “precarietà” e di “incertezza”, che mi si può far notare essere una condizione trasversale nel mondo del lavoro italiano, ma che penso sia meglio valutare settore per settore.
Nell’espressione “inventati un lavoro” non sento l’eco della flessibilità e del progressismo che ci permetterebbe di fare uno sportello d’ascolto di là, un po’ di attività di studio, portare avanti un progetto per i disabili e avere anche tempo libero per la propria famiglia, per il semplice fatto che non esiste una domanda spontanea per le competenze degli psicologi, e quindi deve essere creata una utenza a cui far capire di aver bisogno, ma la quale non è disposta a investire su qualcosa che non sia immediatamente tangibile, o antidepressivo, o ansiolitico. Può benissimo andare da uno psichiatra, o da un neurologo o perfino dal medico di famiglia.
Sul finale porto una ventata di ottimismo direttamente dal sito di AlmaLaurea, che fornisce le statistiche occupazionali dei giovani laureati :
Questo è il guadagno mensile netto a cinque anni dalla laurea di uno psicologo : 962 €. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la statistica non risulta esplicativa in senso stretto, e ognuno interpreta a piacere quello che legge. Una persona potrebbe far notare, ad esempio, che 962€ (medi) di retribuzione sono una cifra da milionario per un cittadino del Gabon o del Malawi.
Esiste la passione che porta a fare sacrifici : quella che probabilmente ci ha permesso di studiare di notte, ripetere esami la cui difficoltà maggiore era costituita dalla personalità del docente più che dai contenuti dell’esame, sospendere la nostra realizzazione personale (farsi una famiglia, fare un viaggio, comprare una moto..). Questa passione e questa determinazione dovrebbero trovare una opportuna gratifica nella realtà dei fatti, ma per i giovani psicologi non pare essere così. La frustrazione si assomma poi al fatto che gli psicologi sono considerati privi di bisogni personali, lontani dal vile denaro, pertanto parlare di soldi e di stabilità economica anche con colleghi più maturi pare essere una impudenza da punire (questo naturalmente è più percepibile parlando con maturi colleghi la cui prima occupazione è quella di ereditiere di cave di uranio, e in secondo luogo quella di psicologo).
Credo invece che un giovane diplomato debba sapere cosa c’è di fronte a lui se decidesse di procedere per una strada piuttosto che un’altra. La professione di psicologo , per la mia esperienza attuale, è costituita da :
- Consistente investimento economico iniziale con ritorno pressoché nullo
- Tempi lunghi prima dell’inserimento nel mondo del lavoro (Laurea Magistrale + Esame di Stato + Tirocinio…)
- Mancanza di una utenza già presente alla quale proporsi e conseguente necessità di utilizzare strategie di marketing anche invasive
- Grande gratificazione per il rapporto con i pazienti, con le famiglie, con i soggetti collaboranti quando si lavora insieme alle istituzioni
- Possibilità di arricchimento umano e culturale pressoché infinito
- Soddisfazione personale nel constatare il buon esito di un intervento anche a distanza di tempo
- Possibilità di conoscenza, confronto e lavoro in gruppo con colleghi di realtà molto diverse che apportano contenuti innovativi
- Persistente subordinazione alla classe medica, nello specifico quella degli psichiatri (che possono segnarsi come “abilitati alla psicoterapia” anche senza aver fatto una scuola di psicoterapia. Lo sapevate? Ora sì!)
- Mancato accoglimento di progetti anche di potenziale valore trasformativo e terapeutico non solo per il singolo o il gruppo ma anche per le istituzioni, che accolgono lo psicologo che chiede udienza come fosse un rappresentante di aspirapolvere
- Un contesto economico globale in ripresa ma ancora molto lontano dai decenni precedenti
La nota finale : se sei arrivato/a fino a qua senza perderti nelle mille perifrasi e nei giochi di parole, davvero complimenti! Forse hai davvero la passione e la determinazione che servono per sopravvivere come psicologo. Al di là dei facili pessimismi – che però sarebbe il caso di non bandire maniacalmente – , fare lo psicologo (psicoterapeuta) è pur sempre un lavoro che dona gratificazioni intangibili ogni giorno, ed è una professione in cui gli errori sono davvero utili quanto i successi. Permette di viaggiare il mondo attraverso gli occhi altrui, e di vivere mille vite sapendo bene quale sia la propria. Una singola persona può fare davvero la differenza nella vita di un paziente o di un gruppo di pazienti, e i pochi giovani psicologi italiani che lavorano nelle istituzioni fanno davvero la differenza per la cultura del lavoro. I dati a disposizione li potete trovare ovunque : tasso di occupazione, retribuzione media, soddisfazione del percorso di studi.. Gianni Morandi, che non è conosciuto per il suo bieco cinismo, dice che “uno su mille ce la fa” : io direi che per uno psicologo che si laurea oggi, “uno su cinquemila” ce la fa. Ma farcela non corrisponde ad avere un successo planetario, bensì ad ottenere una solidità economica ordinaria, come quella di un giovane avvocato o di un giovane dentista. Se alla luce di tutto questo vuoi ancora studiare Psicologia, non posso che farti i miei più calorosi auguri e concludere questo articolo proprio come l’ho iniziato : con una immagine rasserenante.
19 Comments
Alessandra Foti
at 7:07 pmNon posso che ringraziarti per queste tue parole che oltre ad avermi fornito informazioni preziose che io, nella mia tenera ingenuità ( xD ), ignoravo del tutto, mi hanno dato l’immagine estremamente reale e e sincera di tutto il nostro panorama professionale, cosa che per quanto davvero amara, mi ha confortato mostrandomi che non sono l’unica che la vede così! Io sono arrivata fino alla fine della lettura, perchè questa folle passione ce l’ho, ma sai anche perché? Perché alla fine sono fiera di far parte di quella piccolissima fetta di psicologi che si è ritrovata a fare questo mestiere proprio perché mentre Dio distribuiva agli altri la capacità di pensare a se stessi, di auto celebrarsi, di puntare in alto e auto realizzarsi e le hard skills che dici tu, era in fila per l’autolesionistica e controproducente empatia e per le capacità di ascolto che inevitabilmente ci tolgono l’abilità di foderarci gli occhi (e la mente) con il prosciutto, rendendoci però talmente veri da poter leggere tra le righe di qualsiasi falsificazione umana, proprio come hai fatto tu in questo articolo…..e onestamente credo che questo non sia poco come qualità umana e professionale! Per questo sono fiera di far parte della TUA categoria! ti auguro il meglio, e sicuramente continuerò a seguire il tuo blog!!!:)
Ale
Alberto Idone
at 5:43 pmGrazie a te per avere avuto la pazienza di leggere tutto quanto! Il nostro è certamente un mestiere tanto ingrato quanto pieno di soddisfazioni. Purtroppo a volte non è soltanto un punto di vista, e siamo spesso divisi tra la famosa metafora di Matrix della pillola blu (che ci permette di andare avanti, di nutrirci di idealismo, di sognare con i pazienti e a volte anche per loro) e della pillola rossa (che invece ci ricorda di quanto sia frustrante a trent’anni non essere ancora collocati all’interno della società se non per un ruolo ancillario e poco remunerativo). Molte volte nel corso della nostra professionalizzazione dobbiamo compiere questa scelta. In questo caso ho deciso di esaminare cosa ci fosse dentro la pillola rossa. Ma è certamente per quella blu che tutti noi abbiamo fatto questa scelta.
Martina
at 2:51 pmcercando su google “le 10 cose che avrei voluto sapere prima di fare l’esame di stato…” il primo tra i risultati è stato questo tuo articolo. E non so se sia per le immagini rasserenanti, i giochi di parole o la schiettezza con cui scrivi, ma la mia attenzione non si è spostata dallo schermo fino alla fine della lettura. Grazie. Io in realtà parto da un punto diverso, essendo già mamma, lavoratrice a tempo pieno e ora ho deciso di imbarcarmi in questa avventura. Sapevo di non avere grandi prospettive di crescita lavorativa o solidità data dalla costanza del mercato, ma va così da quando, in ogni caso, sono entrata nel mondo del lavoro quindici anni fa subito dopo il diploma. Perciò navigo a vista, e nel frattempo, mi godo anche qualche panorama meraviglioso. A presto
Emma
at 6:34 pmHola, tengo una duda, si estudié el Grado de Psicología en España, ¿puedo estudiar un Máster o trabajar en Italia como psicóloga? ¿cuáles son los pasos a seguir allá? ¿Sabes de alguien graduado en España que lo haya hecho?.
Alberto Idone
at 11:28 amGracias por escribirme.
La respuesta a su pregunta no es fácil, por lo que le sugiero que se ponga en contacto con la embajada italiana en Madrid. es posible tener el reconocimiento de la calificación extranjera, pero en algunos casos es necesaria la integración. Un cordial saludo.
AI
Daniela
at 2:33 pmSe posso permettermi di dire la mia, sinceramente ogni giorno incontro persone che vorrebbero andare dallo psicologo ma non se lo possono permettere perché il tariffario è troppo alto, 60 euro all’ ora stando bassi per due sedute a settimana fanno quasi cinquecento euro al mese, cioè un secondo mutuo. Venendovi incontro 60 euro a settimana per una sola seduta fanno 240 euro al mese. Se abbassaste il tariffario diventereste milionari con molta probabilità. Ma chi è che al giorno d’ oggi prende 60 euro all’ ora considerando il fatto che un trattamento con uno psicoterapeuta serio, per ottenere risultati, in media, va dall’ anno, due anni in su, quindi una persona dovrebbe sborsare dai sei mila ai dodici mila euro in su in un anno.. Ma siamo seri, quasi nessuno si può permettere cifre del genere per curarsi. Quindi siate umili e onesti, che andrebbe tutto a vostro favore e non solo economico
Alberto Idone
at 11:30 amBuongiorno Daniela,
anzitutto grazie per aver condiviso il suo pensiero, che condivido in buona parte. L’accesso e la fruizione delle cure, in particolar modo inerenti alla salute mentale e al benessere, dovrebbero quanto più possibile essere agevolati ed effettivamente rispondenti ai bisogni delle persone all’interno della società (attuale, e non quella di centocinquanta anni fa). Rispetto ad altri servizi di natura sanitaria, la psicoterapia -di qualunque orientamento essa sia- non è la prestazione più costosa che si possa trovare : le basti pensare a una visita ortopedica in un centro privato o a un ciclo di fisioterapia. Senza dubbio richiede tempo ed è un investimento per alcuni importante.
A tale proposito mi permetto di informarla che esistono centri di psicoterapia di elevata professionalità a basso costo : proprio nel gennaio del 2019 con alcuni colleghi abbiamo fondato un centro low cost (https://www.istitutoforbas.it) che vuole proprio rispondere ai bisogni di tutte le persone che sentono la necessità di una terapia psicologica ma non hanno i mezzi per rivolgersi al privato. Pur avendo iniziato da poco, stiamo ottenendo buoni riscontri in termini di contatti e soddisfazione dei pazienti. Sono sicuro che anche nel suo territorio esistano iniziative simili.
Un saluto,
AI
Valeria
at 10:28 amCara Daniela, non è esattamente così. Sono una Psicoterapeuta e a Reggio Calabria ho avviato un progetto di psicologia solidale dove le sedute hanno un costo di 25 euro per le persone che sono precarie, mamme/padri separati con figli a carico, disoccupati, disabili, ecc. Ebbene non ho la fila fuori dallo studio e non sono milionaria…anzi! Purtroppo in Italia la figura dello psicologo è spesso vista come “mi faccio una chiacchierata” (così spesso anche “spinta” da medici che non trovano una diagnosi dal punto di vista organico) e in quanto tale come prestazione che si dovrebbe offrire gratis. Ma poi, proprio tu che sei psicologo non capisci che magari uno ha bisogno ma non può permetterselo?
Alberto Idone
at 8:47 pmSalve Valeria,
non so se si riferisse a me chiedendo se capisca la questione delle tariffe, essendo uno psicologo.
In ogni caso forse sarebbe utile che ogni fascia della popolazione avesse diritto all’accesso ai servizi della salute mentale, indipendentemente dalle possibilità economiche.
Penso che un livellamento verso il basso degli onorari sia d’aiuto, ma non certo risolutivo.
Le stesse persone che ci chiedono sedute a 15 €/h sono le stesse che magari poi si rivolgono privatamente a un medico per farsi prescrivere i probiotici a 150€ a visita.
Se siamo tutti d’accordo che il supporto e la terapia psicologica serva, inclusi gli interlocutori istituzionali, allora è anche opportuno riconoscerne il valore.
Un cordiale saluto
Giacomo
at 2:14 amNon ho studiato psicologia (se non per il diploma) e non intendo studiarla, ma da puro curioso di questa materia che mi affascina mi sono trovato dopo un po’ sul tuo articolo. Ti faccio i complimenti per la chiarezza, la sincerità e l’intelligenza delle cose che hai scritto, gran bella lettura.
Ciao!
Dr. Alberto Idone
at 11:24 amCiao Giacomo. Ti ringrazio per il tuo contributo! Sono dell’idea che le persone più qualificate per cogliere la realtà odierna della psicologia siano proprio “i non addetti ai lavori”, poiché hanno uno sguardo più fresco e non autoreferenziale.
Un saluto,
Alberto Idone
marco
at 10:47 amCiao Alberto,
ottima disamina, realista e non pessimista. Sono un neo-psicologo iscritto al primo anno di una scuola di psicoterapia. Dico “neo” ma in realtà non sono nuovo nel mondo del lavoro avendo quasi 44 anni e lavorando da 24 anni per una istituzione statale dove, puoi immaginare, il concetto di psicologia è lontano quanto Urano.
Quando mi sono iscritto alla facoltà di psicologia (a 34 anni) sapevo a cosa sarei andato incontro e ovviamente trovo inverosimile che possa lasciare il mio attuale posto di lavoro per riuscire a vivere solamente da psicologo/terapeuta. Il mio futuro sicuramente si baserà sugli anni di servizio riuscendo a vivere con quello che mi sono messo da parte, la buona uscita nel caso decidessi di congedarmi e la futura pensione per gli anni di servizio (pensione che però prenderei a 67 anni, allo stato attuale delle norme). Insomma, una situazione davvero triste complicata dal fatto che noi militari non possiamo esercitare professionalmente come secondo lavoro finchè rimaniamo tali.
Mi riconoscono (e non solo io) nella descrizione che hai fatto di un percorso formativo totalmente inadeguato, autoreferenziato, inutilmente (per lo studente) lungo e senza adesione al mondo attuale del lavoro. Professori che a malapena riescono a parlare e/o a camminare data la loro veneranda età cullati solo dal proprio narcisismo ed egocentrismo nel vedere una classe che pende, obbligatoriamente, dalle loro labbra. E magari costretti a studiare, come libro di testo, quello redatto da loro.
A mio avviso hai però dimenticato la concorrenza (sleale aggiungo io) che deve subire uno psicologo e rappresentata da counselor (scandalosamente legittimati dalla legge del 2013), coach, motivatori, consulenti filosofici (sì, esistono anche questi!!); tutte figure che, di fatto, fanno in gran parte il lavoro dello psicologo (a parte diagnosi e somministrazione di test) ma che non avendo gli stessi oneri (obbligo di emettere fattura, iscrizione all’Ordine, obbligo di laurea/corsi post laurea), riescono a fare tariffe sensibilmente più basse.
Insomma, sembra essere proprio una professione dove chi arriva si sente in diritto di inzuppare il biscotto.
Vero è che la società non è per niente educata all’introspezione e alla conoscenza interiore ma solo alla spicciola produzione fisica come anche le persone (hai fatto bene l’esempio dell’operario oggetto di mobbing), si ritrovano a essere trattate come oggetti (Erich Fromm e la sua alienazione sono stati profetici). Sono stato in società dove c’erano delle dinamiche altamente disfunzionali tra i loro componenti ma la proposta di effettuare delle riunioni di gruppo ogni 15 giorni per assumerne consapevolezza e risolverle, veniva vista come una mera perdita di tempo. Risultato: la società si è praticamente sfasciata dopo soli 2 anni ma nel frattempo la proposta di uno psicologo veniva vista alla stregua di uno sciamano di chissà quale tribù africana che tenta di guarire un tumore con la sola invocazione degli spiriti degli antenati.
Dovrebbero cambiare troppe cose per invertire tale marcia, prima fra tutte la cultura della società stessa. Io non credo che riuscirò a vedere questo cambiamento.
Nel frattempo resto fisso sulla mia missione morale perchè, come hai detto, un bravo psicologo/terapeuta può veramente aiutare una persona che ha bisogno e questo a prescindere dall’aspetto economico.
Situazione molto triste, certo.
Dr. Alberto Idone
at 11:38 amCiao Marco, grazie per il tuo contributo!
La questione in merito alla formazione post universitaria degli psicologi è un terreno abbastanza accidentato, a mio avviso. Da un lato spinge alla revisione critica di quanto appreso in università (quarantadue esami e non sappiamo fare una diagnosi? Qualcosa non va..), dall’altro palesa la completa eterogenità delle proposte sul mercato, ed insisto in particolar modo sulla qualità degli insegnamenti. Siamo apparentemente bloccati in una dialettica di “utilità” (spendibilità, contributo per l’organizzazione, per la società, per il paziente) versus “tradizione” (si è sempre fatto così, gli assunti di base non si devono discutere, la società deve adattarsi alla proposta terapeutica..). Credo che questo conflitto debba essere sanato, se non altro all’interno di noi stessi : personalmente, una volta finita la scuola di specializzazione, ho conservato tutto il buono che avevo appreso ma ho anche disconosciuto quanto mi sembrasse eccessivamente inapplicabile e mero sofismo (che non è riflessione ma solo complicazione per il gusto di poter dare una risposta già pronta).
Counselor, life coaches, educatori psico-olistici non mi preoccupano più di tanto, anzi tutto per il fatto che se altre “professionalità” propongono interventi alla lontana simili ad una terapia psicologica e ne traggono profitto commerciale, nulla ci impedisce come categoria di svolgere anche terapie più brevi, centrate sul problema, focalizzate sul sintomo. In buona sostanza, nella matrioska formativa, dovremmo essere già intrinsecamente counselor e life coaches.
Lo scenario non pare essere roseo, non tanto per il limitato bacino di utenza, quanto più per le modalità di contatto di tale popolazione. Questa va informata e con questa ci dobbiamo confrontare con strumenti propri del marketing e del commercio : strumenti che non sono neanche considerati come indispensabili nei corsi di laurea e nelle specializzazioni, ma che risultano essere di sopravvivenza, alla stregua delle teorie dell’attaccamento o dei disturbi d’ansia. Un ripensamento creativo è davvero necessario.
Cordiali saluti,
Alberto Idone
Valentino
at 1:21 pmHo letto tutto l’articolo e mi è piaciuto molto.
Condivido pienamente quello che scrivi, sono analisi piuttosto oggettive e difficilmente controvertibili. Io sono un laureato in Scienze della Formazione e al termine del percorso di studi ho appurato, che anche in ambito formativo, tra il dire e il fare c’è di mezzo una cultura conservatrice radicata ad antichi fondamenti ormai non più sufficienti.
Io penso che sapere cosa scegliere nella vita, sia un po come avere un talento, raro dono che in pochi possiedono e che neanche tutti sanno sfruttare.
Complimenti comunque per la disamina, a tratti anche divertentemente ironica.
Alberto Idone
at 8:42 pmGrazie per il contributo, Valentino!
Emanuele
at 12:31 amÈ stata una lettura squisitamente scorrevole e spassosa!
Ti ringrazio per la brutale ma chiarificatrice onestà. Era esattamente il tipo di solidarietà di cui avevo bisogno.
Sto per concludere, se tutto va bene, un percorso ITS che, al contrario di quello da te affrontato, garantisce attualmente un elevato tasso di occupazione post diploma coerente con l’ambito degli studi, unito a opportunità di guadagno più che dignitose. Qui le hard skill non mancano certo!
Mi sono reso conto però che, sebbene le soddisfazioni arrivino anche dal tipo di attività proprie del settore ICT, quello nel quale mi sto formando, le mie passioni coincidono molto più con le questioni umanistiche. L’orizzonte lavorativo da te delineato non risulta affatto rassicurante, ma penso che valga comunque la pena provare a seguire le proprie più autentiche ambizioni nella vita, pena il rimpianto. Dopotutto sono anche un discreto ammiratore di cinici e stoici, motivo per cui il privarmi degli eccessi materiali non mi scuote più di tanto. Sono disposto a sacrificare la remunerazione se ciò mi permette di essere più appagato intellettualmente e emotivamente.
Io però ritengo che le prospettive applicative della psicologia dovrebbero essere enormemente ampliate. Ti sottopongo un quesito: secondo te si potrebbe arrivare nei prossimi 10 o 20 anni, in Italia, a includere nei corsi studi dalle medie in poi tutte quelle materie trasversali che mirano a educare alla cura del proprio benessere psico-fisico, finanziario, politico, sociale, filosofico e, perché no, religioso? Per non parlare della sensibilizzazione alla questione ambientale, che però non sembra mancare del tutto al momento.
Tutte queste cose le ho sempre dovute approfondire al di fuori del contesto scolastico, fatto salvo per quanto avveniva nella mia poliedrica ora di religione e, talvolta, in quelle di lettere o filosofia. Dal punto di vista formativo, le ritengo rilevanti almeno tanto quanto le tradizionali.
Alberto Idone
at 4:10 pmCiao Emanuele e grazie per il tuo riscontro positivo!
Spero che la tua scelta di formarti anche dal punto di vista umanistico ti possa portare quell’arricchimento e quella ampiezza di prospettive che talvolta (ma solo talvolta) può sembrare mancante nelle professioni tecnico-scientifiche.
Rispetto alla tua domanda, mi trovi d’accordo sulla necessità di ripensare i programmi scolastici e di puntare sugli aspetti di valorizzazione del benessere (psicologico, sociale, fisico..). Per quanto riguarda la fattibilità della proposta, sarebbe necessario trovare una adeguata rappresentanza politica parlamentare in grado di farsi portavoce di quello che sarebbe un grosso cambio di paradigma rispetto alla situazione attuale.
Chiedo anche a te : pensi sia possibile? Su che cosa punteresti?
Un cordiale saluto,
Alberto Idone
Emanuele
at 4:45 pmGrazie per la tempestività della risposta, Alberto. Non ricevendo notifiche di alcun genere in merito alle risposte ai propri commenti non ho avuto modo di leggere il tuo intervento fino a oggi.
Temo che, alla luce dello stato attuale dell’economia nazionale e internazionale, l’interesse politico più diffuso sia quello di dare incentivi alla produzione (e quindi al consumo) e, al più, quello di trasmettere il valore di rispettare l’avversario nella competizione. Finché dunque il benessere personale non verrà interpretato come vantaggioso dal punto di vista dello produttività individuale, difficilmente si desidererà il cambiamento.
Una prospettiva differente potrebbe emergere nel lungo termine (è anche per questo che nel messaggio mi riferivo ai prossimi dieci o venti anni) qualora si diffondessero più densamente certe idee, ma soprattutto consapevolezze della nostra essenza. Un processo culturale del genere credo sia attuabile attraverso una efficace divulgazione delle scienze, cosa che su piattaforme web frequentate anche dai più giovani mi sembra stia prendendo già abbastanza piede.
Alberto Idone
at 2:04 pmSono d’accordo con la necessità di maggiore divulgazione delle scienze, inclusa quella che valorizza la salute mentale e tenta di spiegarne il funzionamento/disfunzionamento.
Progettare le condizioni affinché un individuo tuteli e migliori il proprio benessere penso faccia parte di una cultura della cittadinanza (dello stare al mondo come persone) che richiede ampio respiro da parte di chi progetta e attua le politiche per ogni singolo paese. Si pensa molto al breve termine, alla cura del sintomo eclatante, al vantaggio inteso come astensione dalla spesa… con risultati evidenti a tutti.
Grazie per il tuo contributo,
AI