Le sindromi psichiatriche culturalmente mediate
Category : Articoli
Si potrebbe pensare, talvolta, che il disagio mentale sia una delle esperienze che più accomuna tutta la popolazione mondiale, senza differenze etniche o geografiche.
E questo è in parte vero : l’ansia, la depressione, la psicosi allucinatoria sono frequentemente presenti nella vita delle persone, in grado e durata variabili.
Quello di cui vorrei parlavi oggi però riguarda la specificità dei disturbi mentali in rapporto alla cultura di riferimento. Se mi permettete vorrei riassumere il significato del titolo in una frase sola :
“specifiche modalità di essere matti* (in diverse parti del mondo)”
*naturalmente per “matti” intendo portatori di un disturbo mentale auspicabilmente transitorio e la cui bizzarria a volte porta ad una considerazione divertita del disagio stesso sia da parte del terapeuta che del paziente.
Dopo questa indispensabile premessa, cercherei per un momento di abbandonare l’eurocentrismo che abitualmente permea la nostra cultura psicologica e partire in viaggio per visitare luoghi esotici. Anzi, per meglio dire, i servizi di salute mentale di alcuni luoghi esotici.
Nella nostra prima tappa raggiungeremo Haiti per occuparci di quella che viene definita bouffée délirante …
La bouffée délirante è stata descritta per la prima volta nel 1895 da Magnan, che ne parlava come di un delirio primario, polimorfo, spesso di breve durata e con la specifica caratteristica di apparire bruscamente, come dal nulla. Meglio specificare che questo tipo di disturbo psicotico viene definito dalla nosografia europea come “psicosi reattiva breve” o “disturbo schizofreniforme”, che si distinguono dalla schizofrenia entrambi per la durata.
I poveri haitiani, ignari sia del concetto di psicosi che di nosografia, sono molto spaventati dalla possibilità improvvisa di impazzire, aggredire qualcuno, magari spinti da una voce o da uno stimolo sensoriale che pare esserci ma non c’è. Consideriamo anche che la cultura della salute mentale non è particolarmente diffusa ad Haiti e nelle zone occidentali dell’Africa, dove è più probabile che questo tipo di psicosi breve sia temuto.
Lasciamo quindi Haiti e le bouffées/buffets e rechiamoci ai Caraibi per esaminare una sindrome che colpisce le culture latinoamericane più in genere…
..il cosiddetto ataque de nervios, altrimenti detto “sindrome portoricana”, caratterizzata dalla spinta incontrollabile all’urlo, al pianto, alla fortissima agitazione psicomotoria con una concomitante sensazione di calore che sale dal petto al capo e la presenza di esperienze dissociative (ossia inerenti alla sensazione di non appartenenza del proprio corpo). Questo tipo di sindrome si manifesta con regolare frequenza nei momenti di forte stress familiare o professionale, sebbene possa comparire anche in momenti di apparente tranquillità.
È adesso però il caso di coprirsi pesantemente, perché stiamo per raggiungere il Circolo Polare Artico..
In effetti, la psicoterapia psicanalitica in rapporto alla cultura Inuit è ancora un terreno inesplorato. Che disagio mai potrebbe avere una popolazione che vive su una calotta di ghiaccio? Si può ragionevolmente escludere il timore dismorfofobico di non superare la prova costume, ma dobbiamo tenere a mente il piblokto, altrimenti conosciuto come “isteria artica”. Questa sindrome è caratterizzata dalla tendenza a compiere atti irrazionali o violenti (come allontanarsi dai luoghi abitati per vagare nella neve o aggredire altre persone) e presentare una amnesia anterograda che cancella ogni memoria dei fatti avvenuti. Il piblokto ha quattro fasi : la prima è quella del ritiro sociale, seguita dall’eccitamento psicomotorio fino alle convulsioni, per poi concludersi sfociando in uno stato stuporoso che lentamente porta al pieno recupero delle facoltà mentali. Ah, per informazione, colpisce quasi esclusivamente le donne Inuit e le prime notizie di questa sindrome sono state riferite dagli esploratori europei giunti in Groenlandia alla fine del XIX secolo.
Vogliamo adesso dirigerci verso il Giappone?

Qualcosa ci suggerisce che il Giappone predisponga all’emersione di alcune patologie mentali quantomeno singolari
Per la mentalità occidentale permeata dalla cultura europea, andare a cercare qualcosa di deviante o patologico nella società giapponese sarebbe troppo, troppo facile. È necessario quindi chiedere direttamente ai giapponesi quali siano le loro sindromi culturalmente mediate, e questa volta abbiamo ottenuto come risposta il taijin kyofusho . Questo termine va a descrivere un disturbo delle relazioni interpersonali, che da noi verrebbe qualificato come “fobia sociale”, contraddistinto dal timore di rendersi ridicoli o di deludere le aspettative altrui in merito al proprio aspetto fisico e alle funzioni fisiologiche. Il giapponese colpito dal taijin kyofusho quindi tenderà a ritirarsi e a provare grande vergogna nel contatto sociale, arrivando perfino a recludersi in solitudine pur di non provare i forti attacchi d’ansia e di panico quando si trova con altre persone.
Come ultima destinazione di questo viaggio ho scelto il subcontinente indiano, e nello specifico, il Nepal.
La sindrome dhat (ossia la sindrome che colpisce il “distillato corporeo”) è prevalentemente maschile ed è caratterizzata dal terrore panico di perdere il liquido seminale attraverso il passaggio normale di urina durante la minzione, ma anche a causa di involontarie polluzioni notturne. Tutto questo terrore si esprime anche attraverso vaghi sintomi di astenia, fatica, palpitazioni e sonnolenza. La sua controparte occidentale sarebbe, probabilmente, una miscellanea di disturbi della sfera sessuale (eiaculazione precoce in primis) e disturbi dell’umore (ansia, depressione, fobie legate alle funzioni corporee). Questa strana sindrome va a inserirsi (non a caso!) in una cultura in cui la fertilità e la generatività sono di primaria importanza, ed in cui un uomo incapace di generare è schernito e isolato dal gruppo dei pari poiché “mancante” di un requisito fondamentale per un uomo nepalese.
Se pensavamo insomma che solo noi occidentali fossimo strani e complicati, è stato sufficiente guardare un po’ più lontano per capire che ogni cultura prevede una chiara distinzione tra ciò che è considerato patologico e ciò che invece è “normale”.
La peculiarità delle sindromi psichiatriche culturalmente mediate è quella di essere spesso resistenti ai trattamenti basati sulla medicina di un’altra cultura , specialmente nel caso di alcune sindromi asiatiche. La cura pertanto (o la terapia), andrà ricercata all’interno della cultura di riferimento, ed astenendosi dall’applicazione aprioristica di metodi e tecniche interpretative proprie dell’occidente. In un contesto multietnico come quello contemporaneo, mai quanto oggi per lo psicologo è indispensabile considerare il retroterra culturale del proprio paziente, ancor più del solito qualora la persona provenga da un’altra parte del mondo, per riuscire ad effettuare un intervento che sia efficace, rispettoso dei diversi usi e costumi e possibilmente arricchente per l’esperienza del terapeuta.
Bibliografia :
Carter, J. H. (1995). Psychosocial/cultural issues in medicine and psychiatry: treating African Americans. Journal of the National Medical Association, numero 87(12), pagg. 857–860.
Guarnaccia, P. J., Lewis-Fernandez, R., Pincay, I. M., Shrout, P., Guo, J., Torres, M., … Alegria, M. (2010). Ataque de nervios as a marker of social and psychiatric vulnerability: results from the NLAAS. The International Journal of Social Psychiatry, volume 56(3), pagg 298–309.
Hofmann, S. G., Asnaani, A., Hinton, D. E. (2010). Cultural Aspects in Social Anxiety and Social Anxiety Disorder. Depression and Anxiety, numero 27(12), pagg 1117–1127.
Kohrt, B. A., Rasmussen, A., Kaiser, B. N., Haroz, E. E., Maharjan, S. M., Mutamba, B. B., … Hinton, D. E. (2014). Cultural concepts of distress and psychiatric disorders: literature review and research recommendations for global mental health epidemiology. International Journal of Epidemiology, numero 43(2), pagg 365–406.
Leighton, A. H., Hughes, J. M. (2005). Cultures as a causative of mental disorder. The Milbank Quarterly, numero 83(4),
Mehta, V., De, A., & Balachandran, C. (2009). Dhat Syndrome: a reappraisal. Indian Journal of Dermatology, numero 54(1), pagg 89–90.