Psicologi e crediti ECM: tutto chiaro ?

Psicologi e crediti ECM: tutto chiaro ?

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Da anni se ne parlava, ma soltanto a fine 2017, attraverso la conversione in legge del “decreto Lorenzin” , la professione psicologica è stata annoverata a pieno titolo tra quelle sanitarie .

Questo è sicuramente un passo avanti importante, se non altro a livello di riconoscimento sociale della funzione dello psicologo/psicoterapeuta impegnato nella promozione e nella tutela della qualità di vita della popolazione. Molto bene, direte voi e direi pure io.

Sono decine di anni che sentiamo parlare di quanto gli interventi di assistenza e terapia psicologica siano indispensabili nei più variegati contesti, da quelli strettamente ospedalieri ai servizi intermedi, dalla scuola fino alle aziende. Centinaia di studi internazionali con una metodologia solida hanno potuto verificare quanto l’investimento di risorse sul comparto di cure psicologiche permetta di risparmiare moltissimo – a lungo termine – su alcune voci di spesa gravose per il welfare (ospedalizzazioni, burnout, caregiving..). Sono stati presentati bellissimi progetti di prevenzione primaria e di supporto funzionale (basti pensare alla presenza dello psicologo nella scuola non soltanto come “sportello d’ascolto”, ma come figura di riferimento per la tutela del corpo docenti e per il benessere degli studenti, con deleghe molto più ampie). Insomma, l’inserimento (o forse la riconferma ufficiale) del ruolo dello psicologo nel novero del comparto sanitario è corretto e riflette la situazione che era già in essere.

 

Fin qui possiamo essere tutti molto contenti. Fin qui.

 

 

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Un piccolo passo per un uomo, un grande passo per la categoria!

 

 

 

Vorrei quindi introdurre la questione ECM, una sigla che molti di noi conoscono, ma che alcuni magari ancora ignorano…

ECM sta per Educazione Continua in Medicina , ed è un programma iniziato nel lontano 2002 per favorire l’aggiornamento costante dei professionisti della salute per rispondere alle esigenze dei pazienti, del SSN e per favorire lo sviluppo delle competenze proprie della rispettiva specialità.

La ratio è quella (molto condivisibile) per la quale la formazione non si intende come acquisita una tantum (ossia attraverso i canali formativi consueti che sono Università e Scuole di Specializzazione) ma come ampliata e articolata coerentemente con il progresso della ricerca e della scienza. Nelle intenzioni del progetto, la formazione continua dovrebbe comportare l’acquisizione di nuove conoscenze, abilità e attitudini utili a fornire una assistenza di qualità ai pazienti. Tenersi aggiornati costantemente, capire cosa è più efficace e cosa lo sia meno, diffondere capillarmente le più recenti acquisizioni e implementarle per il beneficio della collettività : ha tutto molto senso.

Dapprima la gestione del progetto ECM (e con questa sigla si identificano anche i crediti formativi di ogni corso, che concorrono a formare un monte crediti annuale da accumulare) è stata competenza del Ministero della Salute, in seguito (dal 2008) è stata trasferita all’AGENAS ( Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali) . Ma fino al 2018, con l’entrata in vigore della legge Lorenzin, la questione ECM riguardava soltanto i colleghi impiegati nel SSN (ma allora esistono davvero?!) e nelle strutture accreditate al SSR, che fornivano internamente un ventaglio di formazioni specifiche utili a tesaurizzare i crediti e assolvere all’obbligo annuale. Se non si raggiungeva la quota prevista, bastava andare a cercare un progetto formativo erogante i crediti, talvolta a pagamento, e la questione era risolta.

Con l’inserimento degli psicologi come intera categoria professionale all’interno del comparto sanitario, però, l’obbligo formativo è stato esteso anche a chi non lavora nel SSN o SSR, e quindi anche ai liberi professionisti che costituiscono la quasi totalità della categoria. Per un paio di anni (il primo triennio) la richiesta di raccolta dei crediti ECM è stata posticipata, ma dal 10 giugno 2020 è stato indicato, nero su bianco, che nel triennio 2020/2022 tutti gli psicologi sono soggetti all’obbligo di formazione continua.

 

Che cosa succede quindi adesso?

 

 

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I centri urbani dati alle fiamme per mancanza di ECM..

 

 

Penso sia indispensabile un riflessione preliminare..

 

In quanto psicologi (o psicoterapeuti) , abbiamo ricevuto una formazione che a torto o ragione è sempre stata finalizzata al tenerci lontani da velleità scientifico-sanitarie di qualunque tipo. Il modello biomedico va superato, è limitante, sterile, arido, cartesiano, right-wing. Non esiste una causa ed un effetto, e non è indispensabile che gli eventi si verifichino con regolarità a seguito di uno stimolo noto. Noi non ci occupiamo di portatori di patologia ma di esseri umani, e il focus degli interventi non deve essere il sintomo ma la causa. La ricerca scientifica in psicologia è stata per molto tempo trascurata, sia per carenze metodologiche ma anche per la convinzione un po’ onnipotente che non ci fosse nessun bisogno di dimostrare l’efficacia , e nello specifico di rendere oggettivabile e chiaramente discernibile la patologia e il processo di cura .

Per quanto sia convinto che non ci si occupi – come categoria professionale – di agglomerati di sintomi e segni ma di persone che attraverso i sintomi e la loro storia narrata (a sé stessi e agli altri) danno voce a una sofferenza, ho sempre vissuto questa dicotomia tra psicologia e medicina come limitante e anche controproducente. I limiti di un approccio strettamente biomedico possono essere superati attraverso una visione globale del paziente, nelle sue risorse, fragilità e modi peculiari di esprimere quel dolore che non è riscontrabile con strumenti diagnostici convenzionali ; allo stesso tempo però dovrebbe essere compiuta una riflessione autocritica sull’approccio esclusivamente fondato su “empatia” e “sesto senso clinico”, con una chiara distinzione tra modelli d’intervento e impianti teorici sensati alla luce della ricerca (rispetto alla quale non dobbiamo sottrarci) ed altri che sono più frutto di influenze culturali e filosofiche desuete e idiosincrasiche, per non parlare poi di tutte quelle pratiche pseudoscientifiche che ad oggi affollano il panorama della salute mentale.

All’interno di questa riflessione, l’inserimento degli psicologi (e psicoterapeuti) tra le professioni sanitarie mi sembra formalmente corretto ma porti con sé una ambiguità di fondo : se da un lato si riconosce l’importanza della cura psicologica come strumento di salute per la popolazione, cosa impedisce quindi di collocare gli psicologi nei settori che proprio si dice abbiano più bisogno di tali risorse, come gli ospedali, i centri di salute mentale, le scuole…?

Ovvero, perché ci viene richiesto di aderire a richieste proprie del settore sanitario senza che abbiamo la possibilità di essere rappresentati in tale contesto? Se esiste una vera indispensabilità delle cure psicologiche, si farà anche spazio per la fornitura delle stesse, integrandole con le competenze delle altre figure professionali preposte alla salute mentale.

E questa, in fondo, è una vexata quaestio che va avanti da un ventennio almeno, ma che affrontare in questa sede ci porterebbe lontani dalla faccenda ECM.. (mi sembrava comunque doveroso metterla a tema).

 

 

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Quindi non parliamo di ECM?

 

 

Sì, ragazza nella foto stock, ora parleremo di ECM e di psicologi!

Da questa estate, pertanto, è stato espresso in modo inequivocabile che tutta la nostra categoria professionale, dai colleghi che lavorano nel settore pubblico ai grandi personaggi carismatici del privato, passando per il mare magnum di quelli appena all’inizio della carriera, deve accumulare ogni triennio almeno 150 ECM, pena l’applicazione di un provvedimento disciplinare disposto dal relativo Ordine (che va dalla comunicazione formale fino alla radiazione).

I crediti ECM possono essere raccolti attraverso :

  • Eventi RES (formazioni residenziali in gruppo o piccoli gruppi)
  • FAD (formazione a distanza, via internet)
  • FSC (formazione sul campo, di persona)

Inoltre si può svolgere la funzione di docente/formatore, o partecipare a un evento che riunisca diverse tipologie formative (il cosiddetto blend)

Ricordiamo che almeno il 40% dei crediti triennali deve essere reperito attraverso le tipologie di formazione menzionate sopra, mentre solo il 10% può essere destinato all’autoformazione (lettura personale di testi scientifici, articoli, monografie non accreditati ECM).

Manca qualcosa però per completare il quadro, un riferimento alla realtà che gli psicologi conoscono fin dal primo momento in cui decidono di intraprendere la professione :

 

 

“la formazione

si

paga”

 

 

 

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 L’atto di acquisto di ECM, semplificazione per finalità narrative..

 

 

Ebbene sì, la formazione si paga. Per assolvere ad un nuovo obbligo bisogna investire denaro, che è abbastanza prevedibile considerata la quantità di obblighi lavorativi ai quali dobbiamo sottostare in Italia, basti pensare alla quota annuale per l’Ordine, assicurazione privata, commercialista, affitto dello studio, Pos..

Se in precedenza la formazione, per lo psicologo che lavorava esclusivamente in privato, era vista come uno strumento utile per offrire un servizio migliore e ancora più specializzato, adesso è di fatto obbligatoria e assomiglia più ad una raccolta punti, ma senza il sottopiatto al completamento dei 15mila bollini. E chi propone la formazione ECM?

I cosiddetti provider, che sono enti formativi accreditati i quali devono a loro volta investire soldi per poter proporre corsi e lezioni in grado di poter essere corredati da un valore ECM che l’allievo accumulerà pazientemente nel triennio. Ogni provider quindi fornisce una proposta formativa in un libero mercato, e ogni figura sanitaria sceglie ciò che più risulta essere conveniente al fine di ottenere questi necessari 150 crediti ogni tre anni.

Vi ripropongo una riflessione già fatta per altri ambiti formativi (segnatamente, le scuole di psicoterapia) :

“quale sarà la qualità della formazione rispetto ad una proposta così eterogenea e dominata dalla necessità di assolvere ad un obbligo con la spesa minore possibile?”

La risposta ci attende nei prossimi anni, ma come già per diversi master, formazioni accessorie, corsi di perfezionamento valgono le stesse considerazioni già fatte in precedenza : valutare il rapporto costo-beneficio, la credibilità dei formatori (od autori) , la spendibilità tangibile degli insegnamenti.

In questo orizzonte nebuloso, si aprono però diverse prospettive interessanti.

Una di queste è la possibilità di cimentarsi nell’ambito della formazione portando al pubblico le proprie conoscenze, attraverso la fornitura di progetti ECM. Questo non può avvenire per via diretta, ma creando nuovi contesti professionali ad hoc , in cui è possibile lavorare in gruppo e confrontarsi sul mercato rispetto a ciò che è già presente e ciò che invece manca. Un’altra è quella , per le scuole di psicoterapia (che non se la passano particolarmente bene…), di riconvertirsi almeno in parte come enti formativi accreditati, distinte almeno in teoria da un elevato livello di qualità degli insegnamenti e già per loro natura contesto di apprendimento e trasmissione del sapere, e questo consentirebbe di mantenersi economicamente sostenibili in uno scenario di progressiva e costante disaffezione rispetto agli investimenti post-lauream da parte degli psicologi.

Riusciranno i nostri eroi ed eroine a sopravvivere agli ECM e magari scoprire nuove possibilità di lavoro e apprendimento? Rimango fiducioso… fino a prova contraria.

In chiusura, un messaggio “di pubblica utilità” : è possibile monitorare il numero di crediti ECM maturato in tempo reale iscrivendosi e connettendosi alla pagina dell’AGENAS, attraverso il servizio myECM

https://ape.agenas.it/professionisti/myecm.aspx

 

Un saluto a tutti e buon lavoro!


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